domenica 27 febbraio 2022
Il riconoscimento del Donbass costituisce un precedente pericoloso per Tibet e Xinjang
Il «Grande sogno» di Vladimir non piace così tanto a Pechino
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C’è una data che per Pechino riveste una particolare importanza riguardo all’andamento della guerra in Ucraina: il 4 marzo. Quel giorno, infatti, nella capitale cinese inizieranno i Giochi paralimpici invernali. Non è un caso che Putin abbia avviato la sua escalation proprio lunedì 21 febbraio, solo dopo la chiusura dei Giochi olimpici invernali in Cina.

Se continuasse anche dopo il 4 marzo, la guerra in Ucraina contraddirebbe brutalmente il messaggio di pace delle Paralimpiadi (cui parteciperanno, tra l’altro, anche disabili per cause di guerra). Indubbiamente, Pechino ha mostrato comprensione per le «minacce alla sicurezza russa» più volte invocate da Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina, ma ciò non significa che la Cina lo appoggi in tutto. Malgrado le molteplici intese economiche, politiche e militari degli ultimi anni, i due Paesi sono amici ma non alleati. Anche in questo caso la storia pesa: condividono, infatti, più di 4.000 chilometri di frontiera su cui in passato ci sono stati molti scontri e più volte terre cinesi sono passate in mani russe o viceversa.

La lunga dichiarazione congiunta che ha seguito l’incontro tra Putin e Xi Jinping del 4 febbraio scorso descrive in dettaglio le posizioni condivise da Russia e Cina su diverse questioni globali e regionali. Ma sembra che nel colloquio riservato fra i due, il presidente cinese abbia manifestato perplessità verso i progetti del suo omologo russo.

Di certo, il ministro degli Esteri Wang Yi ha sintetizzato la posizione ufficiale cinese affermando che «la situazione attuale è qualcosa che non vogliamo vedere» e che «la Cina sostiene fermamente il rispetto e la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi», specificando che questa posizione «si applica ugualmente all’Ucraina». Il riconoscimento russo delle Repubbliche del Donbass costituisce un precedente pericoloso per quanti, in Tibet o nello Xinjiang, rivendicano l’autonomia di queste aree dalla sovranità cinese (mentre non tocca Taiwan che non ha mai affermato la propria indipendenza). Più in generale, la guerra scatenata da Putin contraddice il disegno geopolitico cinese di un ordine internazionale stabile e multipolare in cui il rispetto delle sovranità garantisca da interferenze esterne.

È il disegno più volte illustrato da Xi Jinping con l’espressione «costruire una comunità dal futuro condiviso per affrontare le sfide globali». Su questa linea Wang Yi ha ribadito che «la Cina sostiene un concetto di sicurezza comune, completa, cooperativo e sostenibile». C’è chi dice che ormai è troppo tardi per allontanare fra loro Cina e Russia. Ma forse c’è un ostacolo ancora più grande: la diffidenza e l’ostilità cresciute negli ultimi anni tra l’Occidente - in particolare i 'five eyes' (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda) uniti da comuni interessi nell’Indo-Pacifico) - e la Cina, che rendono difficile immaginare e ancor più tentare una convergenza per fermare la guerra. Negli ultimi anni si è scavato un abisso profondo e anche in questi giorni sono corse espressioni pesanti tra Washington e Pechino.

È perciò difficile che qualcuno, da parte occidentale, si impegni a verificare che cosa c’è davvero dietro gli inviti alla «moderazione» lanciati più volte da Pechino in questi giorni e che cosa significa che «la Cina sostiene e incoraggia tutti gli sforzi diplomatici volti a una soluzione pacifica della crisi ucraina». O che qualcuno, in Cina, creda a una buona volontà occidentale riguardo al conflitto in Ucraina. Ma la pace è un bene così grande che val la pena di mettere in discussione anche gli schemi più consolidati.

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