mercoledì 22 agosto 2012
​Il capo dell'Eliseo annaspa sulla «crescita» di cui si è detto paladino. E in ambito etico, le promesse elettorali, dall'eutanasia alle nozze gay, sembrano già un «arsenale di riserva»
Mai tanto potere al partito di sinistra
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Un «presidente normale», come ama egli stesso definirsi, potrà trascinare la Francia lontano dalle sabbie mobili di una crisi eccezionale e rispettare in pieno la diversità culturale del Paese? A 100 giorni esatti dal suo insediamento all’Eliseo, avvenuto il 15 maggio, il socialista François Hollande fronteggia già i dubbi di una nazione inquieta.Lanciato inizialmente dai banchi parlamentari dell’opposizione neogollista, il «processo sull’immobilismo del presidente» è rapidamente rimbalzato sulle prime pagine dei grandi quotidiani. Per il più letto in assoluto, il popolare Ouest-France, il Paese è scivolato in «una calma inquietante» e si attende con impazienza «l’ora del coraggio» su emergenze come il lavoro. Un’analisi simile a quella dell’autorevole Le Monde, per il quale la successione di riunioni e concertazioni lanciate nelle ultime settimane dall’Eliseo «non rappresenta ancora una politica e ancor meno una visione dell’avvenire». Mentre per l’economico Les Echos, dopo tre mesi di potere socialista, «la sfida resta sempre la stessa: restaurare la fiducia». Ancor più critico il Figaro, per il quale «si insinua il dubbio».     Il 54% dei francesi sarebbe già «scontento» dell’azione di Hollande, secondo un sondaggio dell’istituto Ifop giunto come un primo clamoroso avvertimento durante le vacanze che il capo dell’Eliseo ha appena trascorso in Costa azzurra con la compagna Valérie Trierweiler, a sua volta in caduta libera negli indici di popolarità dopo una serie di esternazioni controverse. Sempre per Ifop, il presidente può contare solo su uno striminzito 3% di elettori «molto soddisfatti». A dispetto del polverone virtuale di pseudonotizie sui «successi di Hollande» che ha raggiunto anche qualche sito Internet nostrano, sembrano già un lontano ricordo le prime ore d’entusiasmo del popolo di sinistra in festa alla Bastiglia. Ad abbattere il morale transalpino è soprattutto la congiuntura economica. In attesa delle misure dell’esecutivo sul fronte del lavoro, previste in autunno, la Francia conta ormai quasi tre milioni di disoccupati e si susseguono a ritmo serrato gli annunci di dolorose ristrutturazioni nei grandi gruppi, a cominciare dal settore automobilistico. Il capo dell’Eliseo continua a presentarsi come «il leader che ha imposto il tema della crescita in Europa», soprattutto dopo l’intesa di Roma su un piano continentale da 120 miliardi di euro per gli investimenti. Ma come era avvenuto per il predecessore neogollista Nicolas Sarkozy, anche Hollande stenta già a capitalizzare in patria la visibilità acquisita nella gestione della crisi europea. Secondo la Corte dei conti, la finanziaria del 2013 dovrà includere ben 33 miliardi di nuove entrate per riportare la Francia sui binari della disciplina di bilancio. Al di là della promessa rassicurante di un «erario più giusto», finora perseguita dal governo socialista cancellando molte esenzioni fiscali dell’era Sarkozy, i francesi si preparano già a nuove manovre e stangate.Ma a fronte del consenso già fragile dell’esecutivo, l’opposizione neogollista dispone attualmente di scarsi contropoteri. Di giorno in giorno, cresce così il timore che l’Eliseo possa lanciarsi presto a capofitto lungo il crinale scivoloso di una demagogia di stampo libertario, un po’ com’era avvenuto all’epoca delle riforme “zapateriste” in Spagna. In ambito etico, diverse promesse elettorali di Hollande paiono già a molti osservatori come un «arsenale di riserva» per il quinquennio: nozze e adozioni gay, liberalizzazione della ricerca sugli embrioni, un auspicato e ancora vago «passo in avanti verso l’eutanasia», la promozione dell’aborto come priorità sanitaria. In proposito, la Chiesa francese ha già promesso che non resterà a guardare: «Voler snaturare il matrimonio è uno choc di civiltà», ha dichiarato nei giorni scorsi sul Figaro il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, commentando la «dimensione politica» di una preghiera per la Francia pronunciata nelle parrocchie per la Festa dell’Ascensione.
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