martedì 22 aprile 2025
I rettori di atenei, campus e college americani firmano una lettera congiunta per dire "no" agli editti della Casa Bianca. Harvard si prepara intanto a citare in giudizio l'Amministrazione.
Manifestanti a Cambridge, in Massachusetts, a rivendicare l'indipendenza di Harvard

Manifestanti a Cambridge, in Massachusetts, a rivendicare l'indipendenza di Harvard - Reuters

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L’accademia americana contro Donald Trump. Con un manifesto sottoscritto da più di cento rettori di atenei, campus e college d’Oltreoceano prende forma la resistenza delle università agli editti della Casa Bianca che minaccia massici tagli ai fondi federali per punire le politiche di inclusione che, a detta del presidente, hanno trasformato le prestigiose istituzioni in fucine dell’antisemitismo e dell’ideologia “woke”.

La lettera, firmata da università come grandi e piccole, da Princeton al Massachusetts Institute of Technology passando per Washington, Brown, Yale, Boston, Hawai e San Diego, solo per citarne alcune, denuncia “l'invasione governativa senza precedenti e l'interferenza politica che ora mettono in pericolo l’istruzione superiore americana". "Siamo aperti a riforme costruttive e non ci opponiamo a un legittimo controllo governativo" – precisa - tuttavia, dobbiamo opporci a indebite ingerenze governative nelle vite di chi studia, vive e lavora nei nostri campus."

L’iniziativa, sollecitata dall’American Association of Colleges and Universities e dall’American Academy of Arts and Sciences, innalza a un livello più alto i toni dello scontro tra il leader repubblicano e le università americane che, lanciato appena dopo l’insediamento di Trump alla presidenza, ha raggiunto il culmine nel il braccio di ferro contro Harvard. L’11 aprile, lo ricordiamo, il tycoon, ha inviato al rettore prestigiosa università una lettera che contestava l’assenza di adeguate misure di sicurezza degli studenti ebrei e denunciava infiltrazioni antisemite. Le stesse accuse mosse anche contro altre università d’élite come Pennsylvania e Columbia. Alla missiva è seguito prima l’avviso di congelamento di 2,2 miliardi di dollari in fondi federali destinati alla ricerca, poi l’ordine di revoca delle esenzioni che consentono al campus di risparmiare le tasse (circa 150 milioni di dollari all’anno) su investimenti e proprietà. Lunedì, quando la Casa Bianca ha ventilato un ulteriore taglio da un miliardo, il rettore Alan Garber ha fatto sapere che “non avrebbe ceduto la propria indipendenza”. Più tardi, è stato rivelato che Harvard avrebbe trascinato l’Amministrazione trumpiana in tribunale. Al centro della battaglia legale che si profila all’orizzonte ci sono i tentativi di “coercizione e controllo” con cui il governo sta violando le tutele costituzionali di libertà di parola nell’università.

Alcune università si starebbero organizzando addirittura per proteggersi a vicenda in eventuali contenziosi firmando risoluzioni che valgono come “patti di difesa reciproca”. Tra i grandi nomi delle istituzioni che hanno sottoscritto la dichiarazione congiunta non c’è la Columbia, già finita nel mirino del tycoon, ha in gran parte accettato le richieste poste dal governo per scongiurare il taglio dei fondi, incluso l’obbligo di sottoporre un dipartimento a supervisione esterna. Secondo Lynn Pasquarella, presidente dell’associazione di college e università che ha lanciato la carica dei 120 (e più) contro The Donald “è solo l’inizio” della resistenza. “Occorre mandare un segnale al pubblico e chiarire a noi stessi la posta in gioco – ha sottolineato - cosa rischiamo se queste continue violazioni nei confronti del mondo accademico continueranno”.

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