
Alle prime luci dell’alba c’è già una cinquantina di persone in fila. Donne con figli piccoli e piccolissimi, soprattutto. Rannicchiate sulle panche di ferro adagiate sulla ghiaia, attendono in modo disciplinato il proprio turno mentre il tempo, intrappolato nella morsa dell’afa, scorre lento. Qualcuna delle pazienti si appisola per ingannare l’attesa. Il tonfo degli spari dissolve in veglia le notti di Petite Place Cazeau, spartiacque tra i sobborghi di Delmas e Tabarre, nell’affollata cintura urbana di Port-au-Prince. Riunite da un anno e mezzo nella coalizione Viv Ansanm, le gang procedono con passo inesorabile verso la conquista totale della capitale. Per dimostrare il proprio controllo sul territorio, man mano che avanzano, distruggono ogni traccia di Stato o di quel che ne rimane. Non solo commissariati, carceri, tribunali. Anche cliniche e centri di salute sono diventati obiettivi. La violenza dilagante ha “chiuso” ormai sei strutture su dieci. L’Hôpital général, il maggior ospedale pubblico della capitale haitiana, la cui ristrutturazione dopo il terremoto è costata 100 milioni di dollari, è andato in fumo. Nel senso letterale del termine. Le bande l’hanno bruciato, dopo averlo, occupato lo scorso febbraio per impedirne la riapertura. Prima era toccato al Bernard Mevs. La Paix è, in pratica, l’unico grande presidio sanitario statale rimasto. Ed è al collasso come l’intero sistema. Due cittadini su cinque hanno urgente necessità di cure e non riescono a riceverle. Bimbi, donne incinte e disabili sono i più esposti al rischio di morire per disturbi curabili.

Mamme in attesa al centro di salute di Petite Place Cazeau - Dsf-Reginald Louissant, 2025
«Non importa quanto dovrò aspettare, almeno qui mi assisteranno», afferma decisa Marianne, in un angolo del cortile che funge da anticamera della casa coloniale in cui, 43 anni fa, la moglie del dittatore Jean Claude Duvalier inaugurò il Centre médico-social, attualmente gestito dalla Fondazione locale Centre pour le Développement et la Santé. È al sesto mese di una gravidanza complicata: per due volte ha quasi perso il bimbo e lei stessa è sopravvissuta per un soffio. «Ogni giorno ci troviamo di fronte decine di casi come il suo. Vengono da noi, in media, una quarantina di mamme e altrettanti piccoli. Il flusso è continuo», sottolinea il direttore medico, Ernso Charléus. Con un bambino su dodici deceduto prima di compiere cinque anni e 328 partorienti morte su 100mila, Haiti ha i tassi di mortalità materna e infantile più alti dell’Occidente. E i dati sono del 2023: ora va peggio. Con quasi tutte le unità fuori uso e i farmaci introvabili, per la crisi economica e il controllo delle bande dei circuiti di rifornimento abituali, gran parte delle donne sono costrette a partorire da sole. Le più fortunate contano sul sostegno di una levatrice. Ogni normale complicazione si trasforma, così, in un pericolo mortale. Per Marianne e i 45mila abitanti dell’area di Petite Place, dunque, il programma “Manman ak titit” – madri e figli, in creolo – è l’unica speranza. Dall’inizio dell’anno, Douleurs Sans Frontières (Dsf) l’ha avviato a Petit Place Cazeau e a Jalousie grazie al sostegno dei fondi di Caritas italiana, dell’8xmille della Conferenza episcopale italiana (Cei) e dell’8xmille della Chiesa valdese. «Lavoriamo in due centri già esistenti. Non ospedali ma strutture più piccole, forse meno visibili ma profondamente radicate nelle comunità. Port-au-Prince è un enorme campo di battaglia: spostarsi è difficile e pericoloso. Dobbiamo portare l’assistenza il più vicino possibile alle persone se vogliamo aiutarle», sottolinea Giovanna Salome, rappresentante dell’Ong francese impegnata nell’isola dal 2010. In collaborazione con le autorità nazionali, l’organizzazione supporta i presidi in modo da garantire assistenza medica e psicologica a mamme e piccoli. Quello di Petite Place Cazeau, in particolare, dispone di uno dei pochi reparti di maternità tuttora accessibili.

La struttura di Petite Place Cazeau ha una delle poche maternità ancora in funzione - Dsf-Reginald Louissant, 2025
«In effetti non abbiamo molta concorrenza – spiega il dottor Charléus –. Le poche cliniche rimaste hanno prezzi improponibili per la gran parte di popolazione. I nostri pacchetti, invece, non superano il dollaro, giusto il minimo possibile per riuscire a coprire i costi».
Crescenti, oltretutto, per i tagli dell’Amministrazione Trump all’Agenzia di cooperazione internazionale UsAid a partire da gennaio. Ufficialmente “temporanee” ma di fatto prorogate a data da destinarsi, le sforbiciate hanno privato di colpo il Paese di 400 milioni di dollari l’anno, recidendo le fondamenta del già traballante sistema di salute. Quasi 5mila operatori impegnati nel programma di lotta all’Aids sono stati licenziati, piani vaccinali, per la riduzione della mortalità materno-infantile e il contrasto di malattie croniche sono scomparsi da un giorno all’altro. Anche l’ambulatorio di Petit Place Cazeau ha perso un’importante fonte di approvvigionamento. Ha dovuto, così, lasciare a casa due dei ventuno operatori del centro di salute. Ne avrebbe dovuti mandare via sei. «Il nostro intervento, però, consente di pagare gli stipendi di quattro infermiere che sono, così, potute rimanere. E di integrare, seppure in piccola parte, il salario di altri 31 impiegati tra maternità e pediatria», aggiunge Giovanna Salome. Il progetto, inoltre, “Maman ak titit” non si limita alle cure salvavita per mamme e neonati.

Doleurs Sans Frontiers sostiene i centri comunitari - Dsf-Reginald Louissant, 2025
«Ci occupiamo della loro salute integrale. Dunque anche di quella mentale, fragilissima nell’attuale contesto e completamente trascurata. Se l’assistenza medica è molto limitata, quella psichica è in pratica inesistente», sottolinea Roudly Lainé, psicologo di Douleurs Sans Frontiers, incaricato di elaborare la metodologia di intervento al centro di Petite Place Cazeau. «Haiti è tragicamente interessante dal punto di vista dell’impatto sulla psiche. La sofferenza che i civili sperimentano non è assimilabile al disturbo post-traumatico perché qui paradossalmente non c’è un “post”. La guerra si protrae così tanto da infliggere ai civili un trauma continuato e infinito – afferma l’esperto –. Pensiamo solo agli sfollamenti: i profughi devono spostarsi da un quartiere all’altro per sfuggire dalle gang, le quali, però, le raggiungono sempre. Nelle persone insorge, dunque, un senso di impotenza e disperazione che rischia di distruggerle se non sono prese in carico». A volte, è sufficiente un appiglio perché l’incredibile resilienza degli haitiani abbia la meglio sullo sconforto generale. Quando sente il proprio nome, Marianne si alza lentamente cingendosi il ventre con le mani. «Vedi, te lo dicevo – sussurra –. Non avere paura. Ci aiuteranno. E andrà tutto bene».