sabato 27 agosto 2011
Scoperti 53 cadaveri in un magazzino: «Uccisi da uomini del raìs». Mistero su tre italiani liberati da un carcere del regime. Intanto il capo degli insorti Jalil lancia un appello alla comunità internazionale: servono cure mediche e beni di prima necessità.
- Morti 200 malati nella clinica «isolata» 
- Tre violenze sui migranti di Giorgio Ferrari
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La guerra di Libia rivela altri orrori. I corpi di 53 persone sono stati trovati in un magazzino a Tripoli, apparentemente giustiziati all'inizio di questa settimana. Secondo testimoni 150 persone sarebbero state uccise nel magazzino il 23 e 24 agosto, quando le forze ribelli stavano combattendo per prendere il controllo di Tripoli. Un residente locale ha detto che le vittime erano per lo più civili e che sono state uccise dalle forze di Gheddafi. Intanto continua il giallo sulla sorte del rais. L'ultimo sospetto parla di una fuga oltreconfine. Un convoglio di sei Mercedes blindate ha attraversato la frontiera tra la Libia e l'Algeria. Lo riferisce l'agenzia di stato egiziana Mena che cita forti dei ribelli: "forse a bordo c'è Gheddafi". Ma nel pomeriggio di sabato il governo algerino ha categoricamente smentito la notizia.Intanto la Nato continua i bombardamenti a Sirte e contro obiettivi sensibili nei pressi di Tripoli. Lo rivela l'Alleanza nel suo bilancio quotidiano. A Sirte sono stati distrutti punti di osservazione militare e una quindicina di veicoli militari e blindati. Nelle vicinanze di Tripoli sono stati colpiti un deposito militare e un lancia missili. Altri obiettivi militari sono stati distrutti nei pressi di Ras Lanuf, città petrolifera a 20 km chilometri da Sirte, ad El Assah, Okba e Al Aziziyah.E ribelli affermano di avere ormai il controllo "totale" dell'aeroporto di Tripoli. Lo ha annunciato il capo degli insorti che controllano l'aeroporto, Bachir al-Taibi, all'indomani del lancio di razzi da parte delle forze lealiste che hanno distrutto tre aerei civili. Intanto il capo del Consiglio nazionale transitorio degli insorti lancia l'allarme per l'emergenza umanitaria a Tripoli. "Facciamo appello a tutte le organizzazioni umanitarie, e diciamo loro che Tripoli ha bisogno di cure di prima necessità e di materiale chirurgico", ha detto Jalil, durante una conferenza stampa tenuta a Bengasi.Il leader del Cnt ha sottolineato che mancano, inoltre, prodotti alimentari di prima necessità. Interpellato sul taglio di acqua ed elettricità, ha attribuito la responsabilità a un "sabotaggio delle forze gheddafiane": "Noi lavoriamo per risolvere questi problemi", ha aggiunto.PARIGI: IL COLONNELLO È A SIRTE di Barbara UgliettiLe tende beduine costeggiano la pista che tira verso Sud e collega la Sirte dei palazzi, delle università, ai suoi secoli di storia nel deserto. In una di quelle era nato nel giugno del ’42 Gheddafi; in una di quelle potrebbe aver scelto di attendere la fine: della sua avventura politica, forse anche della sua vita. Decisione buona, dal suo personalissimo punto di vista. La città è ancora un solido rifugio: nelle passate settimane, mentre i ribelli stavano espugnando Tripoli, i lealisti si sono dati un gran da fare per fortificare i bunker e blindare gli ingressi, minare le strade. Il Colonnello ha poche armi, ormai, ma tanto denaro per pagarsi i “lavori”. Garantendosi così una via di fuga protetta verso il compound dell’oasi di Sabha, saldamente in mano ai governativi. E da lì fino al confinante (e non-ostile) Ciad. Le tribù locali, alimentate con quintali d’oro nel passato, ancora stentano a voltargli le spalle. E gli aerei della Nato faticano a individuare obiettivi in quel mare lucido di sabbia. È relativamente più facile, invece, colpire i target militari in area urbana. Ieri i caccia britannici hanno bombardato la zona delle caserme. I missili ad alta precisione Storm Shadow hanno martellato un vasto bunker nel quartier generale. «L’attacco serve a garantire che non ci siano comandi alternativi nel caso in cui il regime tentasse di spostarsi da Tripoli», ha spiegato il ministro della Difesa britannico Liam Fox. Nelle stesse ore, colonne di carri armati degli insorti si sono mosse verso la città. Intanto anche Ban Ki-moon vuole stringere i tempi: ha annunciato che chiederà al Consiglio di Sicurezza l’invio «urgente» di una missione di pace. «Stiamo entrando in una fase distinta e decisiva in Libia», ha spiegato. Comunque, secondo i comandi ribelli, ci vorranno almeno tre giorni per conquistare Sirte. Più una speranza che una valutazione. Dati, pochi. Testimoni locali hanno detto che circa 1.500 governativi stanno pattugliando strade e piazze e punsi sensibili. Ma chi-controlla-cosa è, come sempre in questa guerra, una labile probabilità. Mentre una probabilità più concreta è che Gheddafi possa trovarsi davvero da quelle parti. Lo sostengono gli insorti (l’ipotesi è stata accreditata l’altro ieri a Roma da Abdessalam Jalloud, ex numero due del regime passato dall’altra parte) e lo confermano i francesi. Secondo fonti dell’Eliseo, il leader libico sarebbe già stato «localizzato» nella sua città natale. Anche il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ritiene che la possibilità che Gheddafi si trovi lì abbia «elementi di fondatezza». E secondo fonti britanniche con lui ci sarebbe Abdelbasset Ali-al-Megrahi, l’unico condannato per la strage di Lockerbie, liberato da un carcere scozzese e rientrato due anni fa in Libia. Voci. Ipotesi attese dagli agguati del rais, che tante volte, in questi mesi, ha smontato con sorprendente reattività annunci e ragionevoli previsioni. Sembrava in trappola, giovedì, braccato dagli insorti in un nascondiglio vicino a Bab al-Azizia, nel quartiere di Abu Salim, sud di Tripoli, appena conquistato. Sembrava di nuovo sotto assedio, ieri, in un altro (non precisato) quartiere della capitale, almeno stando alle dichiarazioni di Mohammed Al-Alaqui, ministro della Giustizia del governo varato dal Consiglio nazionale transitorio (Cnt), che ha parzialmente corretto le valutazioni dei colleghi. Sinora del Colonnello, però, nessuna traccia. Piuttosto, riesce ancora, chissà come, ad organizzare significative azioni “di disturbo” nella capitale. Alcune Brigate rimaste a lui fedeli hanno tirato ieri colpi d’artiglieria contro l’aeroporto della città. Altri combattimenti si sono registrati al terminal di Ras Jedir, nella zona di confine con la Tunisia. Proprio in quell’area, il 23 luglio scorso, sarebbero stati catturati tre italiani, portati, poi, in un carcere di Tripoli. Lo hanno riferito loro stessi, ieri, ad alcuni giornalisti presenti nella zona portuale della capitale, dove attendevano di venire imbarcati su una nave noleggiata dall’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) per procedere all’evacuazione di centinaia di migranti rimasti bloccati nel Paese a causa delle violenze. I tre connazionali hanno detto di aver subito torture e pestaggi, in quel carcere, e di essere stati costretti a firmare un documento in cui affermavano di appoggiare il regime. Il loro racconto, comunque, presenta ancora molti punti oscuri. Intanto, i ribelli si concentrano anche sul “fronte” politico. Ieri hanno annunciato formalmente il trasferimento delle attività da Bengasi (la “capitale” dell’Est) a Tripoli. «Proclamo l’inizio dei lavori del Comitato esecutivo a Tripoli», ha detto Ali Tharuni, ministro dell’Economia del governo transitorio. E il premier Mahmoud Jibril ha ricordato che lo sblocco degli asset libici congelati è «essenziale per il successo del nuovo governo». Chiedono cinque miliardi di dollari, i ribelli. Vendono la pelle dell’orso. Ma nessuno riesce a catturarlo.
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