sabato 10 luglio 2010
L'annuncio delle 52 scarcerazioni dei dissidenti, poi lo stop allo sciopero. Il giornalista è grave: i medici gli hanno somministrato «alcune gocce d'acqua». Era parso scettico sul cambio di rotta ma poi l'ha convinto l'arcivescovo di Santa Clara.
- Stavolta a Cuba lo spiraglio c'è di Lugi Geninazzi
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Nella lotta tra democratici e antidemocratici non ci sono vincitori né vinti. Ad aver vinto, stavolta, è la nostra patria». Ha scritto queste righe di suo pugno il giornalista dissidente Guillermo Fariñas, ma non ha potuto leggerle. Era troppo debole dopo 135 di sciopero della fame e della sete. A scandire il comunicato ad alta voce, è stata Licet Zamora, suo braccio destro. «Ero emozionata, erano parole bellissime», dice ad Avvenire. Ad ascoltare col fiato sospeso, nella stanza dell’ospedale di Santa Clara, c’era una delegazione di oppositori: un gruppo di “Damas de Blanco”, Francisco Chaviano, René Gomez Manzano e lo storico dissidente Héctor Palacios, leader del partito “Solidariedad Democratica”, a cui appartiene Fariñas. Erano arrivati qualche ora prima a Santa Clara dall’Avana, per cercare di convincere “Coco” – come lo chiamano gli amici – ad abbandonare lo sciopero della fame. Mercoledì sera – dopo l’annuncio, diffuso dall’arcivescovado dell’Avana, della liberazione, entro i prossimi quattro mesi, dei 52  dissidenti del “Gruppo dei 75”, arrestati nel 2003 e ancora in carcere – Fariñas era apparso irremovibile. Aveva detto che avrebbe continuato a oltranza, fino a quando i 52 non fossero realmente usciti dai penitenziari. Gli altri oppositori – da sempre contrari alla scelta estrema di Fariñas – si erano preparati una lunga lista di argomentazioni per convincerlo a desistere. Ma non hanno dovuto ricorrervi. «Appena arrivati, ci hanno fatto attendere nella stanza adiacente a quella di Coco. Lo vedevamo attraverso un vetro – racconta Berta Soler, storica “Damas de Blanco”, ad Avvenire -. Solo Hector Palacios ha potuto entrare. Gli ha spiegato che eravamo lì per supplicarlo di riprendere a mangiare. Di salvarsi. Dopo qualche minuto, Hector ci ha fatto segno di «sì» con la testa. Guillermo aveva già deciso». Fondamentale – secondo la Zamora – è stata la visita di monsignor Marcelo Arturo Gonzalez Amador, arcivescovo di Santa Clara, giovedì mattina. «Fariñas era scettico sull’annuncio della liberazione. Pensava che fosse una delle tante promesse senza seguito dei Castro. Poi, monsignor Gonzalez si è presentato in ospedale con una copia stampata del comunicato diffuso dall’arcivescovado dell’Avana la sera prima. E allora Guillermo ha capito che si trattava di un impegno ufficiale, di fronte alla Chiesa e al mondo – ha spiegato Licet –. Se non lo manterrà, Raul Castro dovrà pagarne le conseguenze». Quando è arrivata la delegazione di compagni di lotta, dalla capitale, Fariñas si era già «ammorbidito». Anche se – come spiega la Zamora – «Ha deciso di posporre lo sciopero non di interromperlo. Se il 7 novembre, giorno in cui scadono i quattro mesi per le liberazioni, l’ultimo dei 52 non sarà a casa, riprenderà a digiunare. E non sarà solo. A decine si sono impegnati a seguirlo». Fariñas ha potuto ingerire, per il momento, solo qualche goccia d’acqua. Se starà meglio, dalla settimana prossima dovrebbe cominciare con qualche alimento solido. «È ottimista. Mi ha detto. Ehi Licet, per quattro mesi mi sono prepartato a morire ora devo prepararmi a vivere», conclude la Zamora. E, aggiunge, Berta Soler: «Sorrideva, era quasi allegro. È una persona straordinaria». Sulla questione delle liberazioni, intanto, restano molti punti oscuri. Dopo un giorno di silenzio, giovedì, il giornale ufficiale Gramma ha pubblicato il comunicato della Chiesa senza nessun commento. La lista coi nomi dei primi cinque liberati è stata diffusa sempre dall’arcivescovado. Si tratta di: Antonio Villareal Acosta, Lester Gonzalez Penton, Luis Millan Fernandez, Jose Luis Garcia Paneque e Pablo Pacheco Avila, che partiranno a breve per la Spagna. Resta da capire se anche i prossimi lasceranno il Paese e soprattutto se sarà una libera scelta. La Spagna ha già detto che accoglierà solo chi arriverà volontariamente, senza «indebite» pressioni del governo. Positive le prime reazioni internazionali. Stati Uniti ed Europa hanno definito l’apertura di Raul Castro un «passo nella giusta direzione». Che, probabilmente, peserà a settembre, quando i Ventisette dovranno scegliere se rinnovare la “Posizione comune”, un documento di condanna nei confronti dell’Avana, o se opteranno per un accordo bilaterale che riattivi gli scambi economici con l’isola. Perfino gli esuli di Miami – da sempre nemici giurati dei Castro – hanno celebrato la notizia. Nelle carceri cubane, però, restano 115 prigionieri di coscienza, secondo la stima della Commissione per i diritti umani di Elizardo Sanchez. Per loro, Amnesty International ha rivolto un  appello alle autorità dell’Avana, dopo l’annuncio delle scarcerazioni. Anche la trasmissione radiofonica Zapping – che da aprile conduce una campagna per sostenere l’iniziativa di Fariñas – ha detto che continuerà la raccolta di firme per ottenere la libertà per tutti i detenuti politici, fino ad arrivare a 100mila nomi. Finora hanno sottoscritto in 80mila.
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