mercoledì 4 maggio 2016
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«Un piano segreto», ordito dal ministero dell’Interno egiziano. Finito «per sbaglio», via email, su tutti i media. Un pasticciaccio che – secondo il sito del quotidiano Al Masry Al Youm– svela «lo stato confusionario in cui versa il ministero». Chi e che cosa intendeva colpire il «piano segreto» delle autorità egiziane? Due le direttive lungo le quali avrebbe dovuto espandersi la vischiosa «ragnatela» contro la libertà di stampa. Primo: il caso Regeni. Sul quale, secondo il piano recapitato per «errore» – doveva calare il velo della censura. La morte del ricercatore italiano, avvenuta tre mesi fa, doveva essere «silenziata ». Un silenzio contro cui, anche ieri, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni è tornato a chiedere la collaborazione dell’Egitto. Secondo: la crisi innescata dall’arresto di due giornalisti – Amr Badr e Mahmoud el Sakka – all’interno della sede del Sindacato della stampa, fino a domenica “fortino” inviolato. L’accusa rivolta ai due reporter, per i quali sono stati disposti 15 giorni di custodia cautelare? Essere artefici di un progetto eversivo, con tanto di diffusione di notizie false e tentativo di rovesciare le istituzioni. Nel testo “segreto” si esprimono valutazioni sulla «escalation» del sindacato, «premeditata» e finalizzata a «ottenere vantaggi elettorali»; si prevede una «campagna feroce contro il ministero» e si esorta a tenere «una posizione fissa, immutabile » minacciando di «punire» chi dovesse discostarsene. Nel lungo documento si prevede anche che «l’intervento diretto del ministro dell’Interno sarà accolto da dubbi da parte dei media» e si consiglia di ricorrere a «esperti della sicurezza o a generali in pensione», impostando un «coordinamento con alcuni programmi televisivi, per invitarli a parlare e ad esporre il punto di vista del ministero». Da giorni, i giornalisti stazionano per protesta davanti alla sede del sindacato. Ieri le bandiere, collocate sull’edificio del sindacato, sono state sostituite con drappi neri per denunciare le condizioni in cui stanno lavorando e vivendo i giornalisti in Egitto. Condizione sempre più difficili. E pericolose. Nel giorno della Giornata mondiale della libertà di stampa, Reporters senza frontiere (Rsf) colloca nella classifica sulla libertà di stampa l’Egitto al 159esimo posto (su 180). Secondo l’Ong, Commitee to protect journalists nel 2015 sono 23 i giornalisti rinchiusi dietro le sbarre, l’anno precedente erano 12. Nel 2012 nessun giornalista era stato imprigionato. «Il presidente Abdel Fattah el-Sisi continua a utilizzare il pretesto della sicurezza nazionale per reprimere il dissenso», accusa l’Ong. Che assegna all’Egitto la maglia nera, nel 2015, nella repressione della stampa, secondo solo alla Cina. Tra i giornalisti incarcerati, come denuncia Amnesty International, c’è il fotografo Mahmoud Abu Zeid, noto come Shawkan, in carcere da quasi tre anni per aver scattato fotografie durante la violenta risposta delle forze di sicurezza al sit-in del 14 agosto 2014 nel quartiere di Rabaa al-Adawiya al Cairo. Torturato nel corso della detenzione, è sotto processo per imputazioni che potrebbero portare alla condanna a morte. © RIPRODUZIONE RISERVATA Giustizia per Giulio Regeni (Fotogramma)
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