Tra Biden e Putin vincerà la realpolitik?
mercoledì 29 dicembre 2021
In certe cose i russi rimangono insuperabili. Tra pochi giorni, il 10 di gennaio, inizieranno a Ginevra i colloqui bilaterali fra Mosca e Washington sulle garanzie di sicurezza. Tema sensibile, che spazia dalla questione Ucraina all’equilibrio degli armamenti, sul quale Putin ha già avanzato nei giorni scorsi una duplice proposta di accordo con la Nato e con la Casa Bianca. Nella prima bozza si tratteggia l’obbiettivo di «non rafforzarsi singolarmente a scapito della controparte e non creare condizioni o situazioni che si pongono o potrebbero essere percepite come una minaccia alla sicurezza nazionale». Nella seconda – quella dedicata agli Stati Uniti – si precisa che gli Usa «non utilizzeranno i territori di altri Stati al fine di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra parte o altre azioni che ne ledano i principali interessi di sicurezza». Un bel segnale di distensione, si direbbe, anche se richiama un po’ troppo da vicino la famigerata «Dottrina Breznev» sulla sovranità limitata, che fornì al Cremlino la giustificazione ex post dell’intervento sovietico in Ungheria del 1956, quindi dell’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e quella dell’Afghanistan nel 1979. In questo, anche Putin ha già fornito un contributo ragguardevole con l’annessione della Crimea e l’appoggio alle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Ma a contrappeso del ramoscello d’ulivo offerto all’alleanza occidentale («Consideriamoci partner, non avversari») si è abbattuto in patria quel pugno di ferro che passo dopo passo fa assomigliare sempre di più la Russia di Putin all’Unione Sovietica dei tempi d’oro. È di ieri la notizia che la Corte Suprema russa ha ordinato la chiusura di Memorial. Nata alla fine degli anni Ottanta, si occupa principalmente di portare alla luce gli abusi dei diritti e le atrocità commesse durante il lungo inverno stalinista. Ciò che Putin ha intenzione di fare è chiarissimo: non si tratta solo di riabilitare Stalin, processo già in atto da almeno due anni, quanto di far rivivere la gloria dell’Urss che giusto trent’anni fa aveva chiuso i battenti, facendola risorgere in una Russia putiniana forse meno povera di quella di quella sovietica ma altrettanto avara sul piano delle libertà. Chissà se Joe Biden nel prossimo faccia a faccia con Putin sarà capace di farglielo presente. O se abbozzerà, in nome della Realpolitik. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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