venerdì 29 maggio 2009
Pechino investe con progetti per un valore di 5 miliardi di dollari. New Delhi vuole riservare i suoi terreni a produzioni ad alto valore aggiunto
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Prima è stata la competi­zione serrata per il petro­lio e numerosi altri pro­dotti minerari, necessaria per a­limentare economie che per an­ni hanno viaggiato a tassi di cre­scita attorno alle due cifre. Ora Cina e India, in buona compa­gnia internazionale, si trovano a rastrellare terreni agricoli (e ma­nodopera) per alimentare, in­sieme alle loro popolazioni mi­liardarie, anche settori trainan­ti delle esportazioni. L’Africa, continente dove i colossi asiati­ci sono da lungo tempo presen­ti, deve accettare la presenza di due potenze emergenti e cam­pioni per lungo tempo del ter­zomondismo che ora sembrano diventate avanguardia del te­muto ' neocolonialismo ali­mentare'. Non a caso questa presenza, per quanto riguarda l’uso dei suoli agricoli, è diventata forte, persi­no invadente, a partire dall’av­vio della crisi alimentare del 2007- 2008 con i prezzi di alcuni prodotti saliti alle stelle nel giro di poche settimane ( il riso anche del 150 per cento) e risulta com­patibile con la disponibilità di terreni e le necessità di molti Paesi africani che abbisognano di capitali per sostenere lo svi­luppo, beneficiando insieme di conoscenze e di infrastrutture che accompagnano gli investi­menti asiatici. Nel 2006 l’Africa subsahariana è salita al terzo po­sto tra le regioni del mondo im­pegnate a creare condizioni fa­vorevoli a investimenti e impre­se stranieri e le esportazioni complessive dall’Africa verso l’A­sia sono triplicate negli ultimi cinque anni, facendone il terzo partner commerciale del conti­nente, con il 27 per cento del to­tale. Gli investimenti diretti di Cina e India sono cresciuti in modo esponenziale, come pure gli accordi di cooperazione tec­nologica e culturale. Tuttavia, come evidenzia il dato dell’export africano verso l’Asia ( 1,6 per cento del totale delle im­portazioni in quel continente), si tratta di un rapporto assoluta­mente sbilanciato. « Cina e India sanno perfettamente cosa vo­gliono dall’Africa, ma i Paesi a­fricani sono ancora lontani dal­lo sviluppare una comune cor­nice su come negoziare con que­sti due colossi da una posizione più forte e più stabile » , spiega Harry Broadman, consulente e­conomico per l’Africa della Ban­ca Mondiale . La Cina, che da decenni forni­sce sostegno bilaterale a varie nazioni africane, integrato in progetti Fao attraverso una sua specifica agenzia finanziata con 10 milioni di dollari l’anno, è il Paese che sta investendo mag­giormente nel Continente in questi ultimi anni, con progetti di durata anche cinquantenna­le per un valore complessivo at­tuale di 5 miliardi di dollari. U­na parte crescente si va river- sando sui terreni agricoli, in par­te perché di fatto Pechino con­trolla già importanti fette delle produzioni energetiche locali ( Sudan e Zimbabwe forniscono il 15 per cento del suo fabbiso­gno petrolifero), in parte per le sue crescenti necessità alimen­tari e commerciali. Allo stato at­tuale, l’interesse cinese sui ter­reni e sulle produzione agricole è un’appendice della sua ricer­ca insaziabile di materie prime, ma va crescendo l’interesse per i prodotti commestibili. L’India, invece, vede nelle im­mensità dell’Africa la possibilità di estendere le sue colture. Se­condo diversi economisti, con­trariamente alla Cina che deve fare i conti con una crescente scarsità di acqua per l’irrigazio­ne oltre che di suolo, l’India non avrebbe la stringente necessità di cercare terreni coltivabili al­trove. Tuttavia il governo india­no e diverse aziende hanno in­tensificato la loro espansione al­l’estero. Lo scopo è quello di u­tilizzare sempre più terreni in patria per produzioni di alto va­lore aggiunto, in parte per il cre­scente mercato interno di ge­neri di non primaria necessità, in parte per destinarli all’espor­tazione. Lo scorso anno almeno una de­cina di aziende, sponsorizzate dal governo di Nuova Delhi, han­no investito in Etiopia circa 2 mi­liardi di dollari per affittare ter­reni e installare gli impianti uti­li alla produzione di tè, zucche­ro e molte altre coltivazioni. U­na necessità per il colosso in­diano, Paese-tipo tra quelli in cui l’aumento dei redditi accresce la domanda di cibo a un ritmo preoccupante. Oggi la produzio­ne risicola e granaria dell’India, 230 milioni di tonnellate, è suf­ficiente ma si prevede che nel 2020 la richiesta salirà fino a 250 milioni di tonnellate. Necessità in competizione, quel­le tra i due colossi asiatici dalle popolazioni miliardarie; soprat­tutto investimenti redditizi nel­le intenzioni della Corea del Sud, terzo incomodo che li segue a molte lunghezze. La piccola na­zione dell’Estremo Oriente ha investito massicciamente su produzione industriali e su pro­dotti alimentari. In Sudan, ad e­sempio, dove lo scorso anno i sudcoreani hanno ottenuto 690mila ettari da destinare alla produzione di frumento. Brusca frenata, invece, in Madagascar, dove il controverso accordo tra Marc Ravalomanana e il colosso multinazionale Daewoo per l’af­fitto di terreni ( 1,3 milioni di et­tari) equivalenti alla metà della superficie coltivabile del Paese, ha contribuito alla caduta del presidente lo scorso marzo. La bandiera cinese sventola in una strada di Khartoum. Il Sudan è uno dei Paesi dove è più massiccia la penetrazione di potenze non africane
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