venerdì 9 agosto 2013
L'inflazione che continua a crescere, le sanzioni internazionali e i venti di guerra da Israele rappresentano le prime e urgenti sfide per il leader iraniano
La giusta direzione di R. Redaelli
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​Torna in primo piano nelle cronache mediorientali la diplomazia, con l’Unione europea e gli Stati Uniti interlocutori disprezzati eppure corteggiati. Sono due i tavoli negoziali destinati ad assorbire le maggiori energie di intermediazione nelle prossime settimane: quello fra Teheran e la comunità internazionale sul programma nucleare, e, soprattutto, quello fra israeliani e palestinesi che, ripartito a fine luglio dopo anni di stallo vedrà la sua seconda tornata il 14 agosto a Gerusalemme. Dopo la “pausa” della kermesse elettorale statunitense-israeliana-iraniana, insomma, ci si avvia alla ripresa di tutti i giochi. Che coincide con l’inizio del mandato del neo-presidente iraniano Hassan Rohani. Per Rohani si delinea una corsa contro il tempo. La stampa nazionale, per evidente ordine di scuderia, sta preparando l’opinione pubblica alla svolta obbligata: a tre giorni dall’insediamento del nuovo presidente, il suo discorso sulla «disponibilità ad affrontare negoziati seri sul nucleare» campeggia al fianco delle prime dichiarazioni di Mohammad Javad Zarif, nuovo ministro degli Esteri, per «la normalizzazione dei legami con l’Ue». Non c’è tempo da perdere: l’inflazione ha raggiunto il 34%, il Pil a fine 2012 ha fatto segnare il -1,2% e quest’anno dovrebbe calare di un ulteriore -1,3%. Ma, soprattutto, a Gerusalemme rullano i tamburi di guerra. Tutto lascia pensare che i vertici israeliani abbiano riaperto la porta al negoziato solo in funzione anti-iraniana: se Washington aiuterà a sconfiggere l’incubo atomico, i falchi israeliani cederanno sulla rinuncia a porzioni di territorio oltre i confini del 1967. Insomma, niente più «terra in cambio di pace», ma «terra in cambio dell’Iran». Per il premier Benjamin Netanyahu, arrivare a un accordo «in nove mesi» implica dare all’opinione pubblica una controparte storica. Scrive l’editorialista Alon Ben David su Haaretz: «La scelta di Bibi Netanyahu fra palestinesi e iraniani è crudele», ma è proprio quello che sta succedendo.E Rohani da che parte sta? Non è chiaro, ma nel nuovo gabinetto c’è un fil rouge: la carriera militare, sul campo o nelle stanze dei servizi segreti. Un paio di nomi: Hossein Dehghan, ex comandante dei Pasdaran, alla Difesa; Abdulreza Rahmani Fazli, ex Segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, agli Interni; Mostafa Pourmohammadi, già ministro degli Interni e vice ministro dei Servizi segreti, alla Giustizia. Tutti coinvolti nella repressione fra il 1999 e il 2003. Come Rohani.
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