lunedì 16 settembre 2013
In Colombia è stata vietata la vendita di prodotti con il viso e il logo del «capo», fondatore del famigerato cartello della droga. La famiglia voleva utilizzare la «firma» per servizi legati all’«educazione». No alla richiesta del figlio di sfruttare il nome del boss dei narcos.
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Lasciò dietro di sé una scia di migliaia di morti. Guidò il cartello della droga più potente degli anni Ottanta e divenne uno degli uomini più ricchi del mondo a colpi di omicidi e traffico di cocaina. Un passato troppo vivo: alcune di quelle ferite non sono ancora rimarginate. Per questo Pablo Escobar non può essere un “marchio”. Il suo nome, il suo volto, le sue impronte digitali non possono essere registrate come un marchio commerciale per vendere magliette on line. La Sovrintendenza dell’Industria e del Commercio della Colombia ha rigettato il ricorso presentato dalla vedova e dai due figli del “Capo”, che volevano depositare la firma «Pablo Emilio Escobar Gaviria» ed utilizzarla – ufficialmente – per servizi legati all’«educazione e alla formazione». Ma la commercializzazione di prodotti con il viso e il logo Escobar è veramente troppo, avvertono le autorità di Bogotà: è una questione «morale». Il più noto narcotrafficante della storia colombiana, fondatore del famigerato cartello di Medellin, è «associato con un ciclo di violenza che attraversò la Colombia negli anni Ottanta e parte degli anni Novanta e lasciò migliaia di vittime». L’iniziativa è inaccettabile. «Questa marca farebbe apologia della violenza e andrebbe contro l’ordine pubblico» sottolinea la Sovraintendenza dell’Industria. I parenti del “Patron” di Medellin avevano presentato la richiesta di registrazione del marchio, con la finalità di diffondere contenuti in nome della riflessione sociale, contro la violenza e a favore dei diritti umani. Ma il braccio di ferro sul logo Escobar risale a diversi anni fa. “El Capo” venne ucciso nel 1993 in un’operazione speciale degli agenti colombiani. La vedova Maria Isabel Santos Caballero e i suoi figli, Juana Manuela e Juan Sebastian, cambiarono nome e si trasferirono con una nuova identità in Argentina.Dal 2006 i familiari del narcotrafficante – in particolare il figlio – tentano di depositare il marchio. Nel 2012 Juan Sebastian Marroquin lanciò una linea di abbigliamento, stampando il documento di identità, le carte di credito e il certificato penale del padre su t-shirt e altri capi di vestiario. Le magliette della collezione “Poder Poder” vennero realizzate dalla marca tessile “Escobar Henao”, creata dal figlio nel 2012. L’iniziativa fece scandalo: i vestiti vennero venduti tramite Internet in Messico, Guatemala, Ecuador Spagna, Austria e negli Stati Uniti. Non è la prima polemica che avvolge l’eredità avvelenata del potentissimo trafficante di morte, che nel 1989 la rivista Forbes definì come il settimo uomo più ricco del pianeta. La sua celebre tenuta, “Hacienda Napoles”, sede centrale da cui muoveva i fili dei suoi sporchi traffici, è da anni nelle mani dello Stato, ma il mantenimento troppo costoso ha provocato una stravagante conversione: ora è un parco di divertimenti, e oltre a visitare la sua antica casa e vedere i 18 ippopotami di Pablo Escobar (appassionato di animali esotici), i 180mila visitatori annuali possono scegliere fra giochi acquatici e dinosauri giganti. È come uno spettro che continua ad aleggiare: protagonista di fiction e spot, Escobar fa “audience”. Di recente, in Cile, una pubblicità televisiva di una grande lotteria ha utilizzato l’immagine del narcotrafficante colombiano provocando una valanga di critiche da parte dei telespettatori.
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