sabato 14 maggio 2016
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Non è solo questione di numeri. È un dato di fatto. Purtroppo. Basta fare un giro per le periferie di Buenos Aires per rendersene conto. Un luogo che padre Pepe Di Paola conosce fin troppo bene. Il sacerdote argentino ha trascorso gli ultimi tre decenni nelle “villas miserias” (baraccopoli). L’esperienza gli ha aguzzato lo sguardo quando si tratta di rilevare variazioni nel livello di povertà. «Ora sta crescendo. Si vede. L’aumento del costo dei trasporti, del gas, della luce sta colpendo con forza i gruppi sociali più disagiati. Spesso si crede che l’inflazione riguardi solo la classe media. Non è vero. L’incremento dei prezzi è un dramma per chi ha meno risorse», ripete padre Pepe da settimane, cioè da quanto l’Osservatorio per il debito sociale dell’Università Cattolica (Uca) ha tracciato la radiografia sociale dell’Argentina attuale. Una delle poche stime attendibili, data l’assenza di dati ufficiali. Alla fine dell’anno scorso – l’ultimo dell’era Kirchner –, i poveri erano il 29 per cento. La politica del nuovo esecutivo – guidato dal presidente Mauricio Macri – non ha migliorato la situazione. Anzi, nel primi tre mesi del 2016, l’indice è cresciuto al 34, 5 per cento. Ciò significa che altre 1,4 milioni di persone sono entrate nella categoria, per un totale di 13 milioni. La causa principale – ha sottolineato la Uca – è l’inflazione che erode i salari, accanendosi soprattutto su quelli più bas- si. I rincari sono lievitati con l’eliminazione delle cosiddette “tariffe agevolate” su trasporti, gas, luce, acqua, benzina. I sussidi di Stato su alcuni servizi – tenuti a costi artificialmente esigui – erano uno dei cavalli di battaglia del kirchnerismo. Macri, fin dall’inizio, ne ha dichiarato l’insostenibilità per il sistema economico. E li ha cancellati. L’inflazione galoppante, però, ha “costretto” il ministero dell’Economia a bloccare il costo di 400 prodotti base, in particolare alimentari. Questi ultimi hanno raggiunto un drammatico + 10 per cento in tre mesi. Non accadeva dal 2009. In pratica, una famiglia media spende ora il 41,5 per cento in più al mese rispetto all’anno scorso, solo per sopravvivere. A preoccupare, inoltre, è il tremendo impatto sull’infanzia. Secondo l’Unicef, nel 2015, tre bimbi su dieci – circa quattro milioni – erano poveri, per un totale del 30, 2 per cento. L’8,4 di questi – oltre 1,1 milioni – viveva in condizioni di miseria estrema. A questi si aggiungono le decine e decine di migliaia di piccoli senza documento di identità e, dunque, invisibili. Impossibile definirne il numero esatto. Per l’Uca e l’Istituto per lo sviluppo e politiche pubbliche (Iadepp), nel 2011, l’1,6 per cento dei minori non era registrato, in tutto 168mila. L’impoverimento generale non può non peggiorare ulteriormente la condizione dei più piccoli. La drammatica crisi preoccupa la Chiesa. I vescovi, nel recente documento scritto in vista del Bicentenario dell’indipendenza, il prossimo 9 luglio, hanno ricordato che: «Non c’è vera democrazia senza inclusione e integrazione». Il testo – articolato in 83 punti, dal titolo “Il Bicentenario dell’indipendenza. Momento per un incontro fraterno degli argentini – è stato presentato dal Comitato esecutivo della Conferenza episcopale argentina, guidato dal presidente José María Arancelo – a Macri in una riunione di 55 minuti. Nell’incontro, i vescovi hanno affrontato con il presidente i principali “nervi scoperti” del Paese: corruzione, mancanza di dialogo, dilagare del narcotraffico, indigenza, subordinazione del bene comune alle esigenze del mercato. A tal proposito, i pastori hanno ribadito la «necessità di ridurre i preoccupanti livelli di povertà», si legge nel successivo comunicato. L’unica via – hanno sottolineato, citando papa Francesco – è la promozione della cultura dell’incontro. A tutti i livelli. Solo il dialogo costruttivo tra forze politiche e sociali può far uscire l’Argentina dallo stallo. © RIPRODUZIO NE RISERVATA L’EMERGENZA. Tre minorenni argentini su dieci soffrono di problemi legati all’indigenza (Reuters)
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