giovedì 21 maggio 2009
Un rapporto di cinquemila pagine, commissionato dal governo, riapre le ferite: raccolte le testimonianze dagli anni 30 di circa 2.500 ex allievi delle scuole gestite dagli ordini religiosi Ma i dati «sono da vagliare».
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È destinato a riaprire vecchie ferite, a scandalizzare e a far discutere il rapporto pub­blicato ieri dalla Child Abuse Commission, la commissione di indagine istituita in Irlanda nel 1999 su input governativo per in­dagare le storie di abusi di mino­ri nelle scuole affidate a ordini re­ligiosi maschili e femminili nel Paese. Un rapporto di 3.500 pagi­ne in cinque volumi, fondato sul­le testimonianze di circa 2.500 ex allievi delle industrial e reforma­tory schools, più altri istituti simi­li che hanno ospitato, dalla fine dell’800 agli anni ’70, orfani, mi­nori condannati per reati diversi e figli di famiglie alle prese con problemi in genere di alcolismo. Le denunce prese in esame si ri­feriscono soprattutto agli anni ’30-’60, di queste è stata esami­nata a fondo una parte per riu­scire a portare a termine il lavoro in tempi ragionevoli. Nel riassunto finale, molto arti­colato, si mette in luce come la realtà degli abusi sessuali fosse «endemica» nelle boys’ schools – nonostante sia «impossibile de­terminare la piena estensione del fenomeno» – non invece nelle girls’ schools, dove gli abusi sa­rebbero stati altrettanto diffusi ma in modalità diverse. Il rap­porto, infatti, mette insieme abu­si sessuali, fisici, emotivi e gravi negligenze nell’opportuno tratta­mento dei minori. Tra le responsabilità degli ordini religiosi a cui era affidata dallo Stato la gestione delle scuole per l’infanzia in difficoltà, viene sot­tolineata quella di non aver de­nunciato – o di non averlo fatto in tutti i casi, o comunque non al­le autorità pubbliche – i laici e re­ligiosi colpevoli di crimini contro i minori e di aver cercato in mol­tissimi casi di insabbiare i misfat­ti. «Siamo profondamente addo­lorati e pieni di vergogna per quei bambini che hanno così sofferto in quegli istituti» ha detto ieri il cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda. Sentimento condiviso anche da Rory Connor, collabo­ratore di Alliance Victim Support Group, associazione per la prote­zione dell’infanzia, che però met­te in guardia dal fare di tutta un’erba un fascio: «Il materiale andrà letto con attenzione. Una cosa è certa, fosse stato provato anche un solo abuso sessuale sa­rebbe un orrore che esige penti­mento e riparazione da parte di chi ne è stato responsabile. Tut­tavia bisogna stare attenti nel fa­re bilanci complessivi. In Irlanda lo scandalo degli abusi ad opera di religiosi – e le successive ini­ziative investigative come la Child Abuse Commission, voluta dal premier di allora, Bertie Ahern – è stato sollevato nel maggio 1999 dalla giornalista Mary Raftery, con un documentario televisivo e un successivo libro, Suffering the lit­tle children.. Già in quei docu­menti furono molti gli episodi, tra cui addirittura presunti omicidi nelle industrial schools, che si ri­velarono artefatti. Ciononostan­te questo ha innescato una caccia alle streghe nei confronti della Chiesa irlandese, in cui la verità è stata mischiata a invenzioni o e­sagerazioni che hanno finito per distruggere la reputazione di in­numerevoli religiosi innocenti e falsare la ricostruzione degli e­venti. L’ultimo episodio eclatan­te in questo senso è stato il best­seller Kathy’s real story scritto da Kathy O’Beirne, un’altra storia sconvolgente di violenza e abusi sessuali subiti dall’autrice in una serie di scuole religiose chiamate Magdalene laundries. Prima la stessa famiglia della O’Beirne, poi il libro di un altro giornalista, Her­mann Kelly, hanno dimostrato che l’intero racconto era un pla­teale falso. Insomma, bisognerà leggere e vagliare con attenzione le conclusioni della Child Abuse Commission. Speriamo che por­tino una luce di verità e siano più attendibili del lavoro svolto dal­l’altra commissione creata dal Governo, quella per offrire una ri­parazione economica alle vittime di abusi nelle industrial schools, il Residential Institutions Redress Board. Delle 14mila denunce ri­cevute dal Redress Board – ai de­nuncianti era promesso un risar­cimento economico praticamen­te sulla parola, senza particolari verifiche – solo lo 0,4% non è sta­to accettato. Con un’attendibilità di tanti racconti e ricostruzioni dei fatti più che dubbia».
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