sabato 2 gennaio 2021
Corsa contro il tempo per vaccinare tutti i soldati in Europa e nelle aree in Oriente a ridosso del gigante cinese Già oltre centomila arruolati statunitensi sono stati colpiti dal Covid
Il vaccino viene usato anche come un'arma

Il vaccino viene usato anche come un'arma - Fotogramma

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Il vaccino è un’arma. Come le altre. E l’ora della riscossa, anche per i militari, contro il coronavirus è iniziata con una campagna di vaccinazione su larga scala, per immunizzare i reparti e non lasciare nessun vantaggio competitivo agli avversari. Ne va della sicurezza nazionale, delle proiezioni oltremare e del prestigio di potenza. Russia, Cina e Stati Uniti stanno monopolizzando le scene, anche in questa guerra sanitaria, psicologica e bio-tecnologica. Il Pentagono ha sguinzagliato i suoi fotografi ufficiali, in Giappone, Europa e Corea del Sud, per immortalare l’avvio quasi simultaneo delle vaccinazioni dei suoi soldati di stanza all’estero.

Tutto è iniziato lunedì 28, nella base aerea di Yokota, in Giappone. Priorità assoluta è stata data al personale sanitario, in prima linea nella lotta alla pandemia. Quasi 8mila dosi di vaccini prodotti da Pfizer e BionTech sono state consegnate la settimana prima alle truppe di stanza in Giappone. Quel lunedì è stato giorno di ’festa’ anche in Europa.

Nei centri medici dell’US Army di Ansbach, di Grafenwoehr e di Vilseck sono stati iniettati i primi vaccini Moderna. Al dipartimento della Difesa, a Washington, ne hanno ordinato, l’11 dicembre, 100 milioni di dosi supplementari, pagandole 1,96 miliardi di dollari.

Che cosa ne dobbiamo dedurre? Avviare le vaccinazioni in Giappone, in Europa e in Corea del Sud lancia un duplice segnale alla Cina e alla Russia. Quelle basi sono fra i centri nevralgici della presenza americana all’estero. I poligoni tedeschi sono fondamentali per la proiezione verso il Medio Oriente e verso le marche di frontiera dell’est-europeo. Che uno dei destinatari siano i russi lo si deduce dal fatto che la campagna di vaccinazione è stata lanciata in contemporanea anche nelle basi aeree americane del Regno Unito.

Il Pentagono ha bisogno di compattare le fila e mostrare i muscoli. Ha pagato un prezzo altissimo al coronavirus: oltre 101mila casi fra i suoi uomini, con un’incidenza marcata fra i marine (5,5%). Non ha mai censurato i dati, distinguendosi da cinesi e russi.

Mosca è tristemente opaca. A fine marzo, il coronavirus aveva messo fuori gioco due equipaggi di sottomarini nucleari lanciamissili da crociera della Flotta del Nord, implicati nella lotta fra il gatto e il topo con i velivoli antisommergibili della Nato. Poi non si è saputo più nulla. Il Cremlino si è prodigato solo in notizie positive. Sorprendendo molti, ha avviato la vaccinazione dei suoi militari un mese prima degli americani, il 27 novembre.

Il potentissimo ministro della Difesa di Putin, Sergeij Shoigu, si è fatto iniettare lo Sputnik V già a settembre, pubblicamente. Il ministero della Difesa ha precisato che «immunizzerà 80mila uomini entro la fine dell’anno» e «in totale, più di 400mila militari saranno vaccinati nell’ambito dell’intera campagna, secondo l’ordine presidenziale».

E qui sorgono i dubbi. L’Armata Rossa allinea un milione e passa di effettivi, senza contare i coscritti e il personale civile. Perché il tanto decantato siero dell’istituto Gamaleya sarà somministrato a così poche unità? Che cosa ne sarà delle altre? Quali sono i reparti interessati dalle vaccinazioni? C’è qualcosa che non torna. Le forze armate sono le “migliori alleate” della Russia. Possibile che si sottovaluti la dirompenza del virus nell’inabilitare interi settori della catena di comando e controllo, di reparti operativi, delle infrastrutture e della logistica?

Quando CanSino Biologics e l’Accademia delle scienze mediche militari hanno messo a punto il primo vaccino cinese, il 29 giugno scorso, la Commissione militare centrale, a Pechino, ne ha autorizzato l’uso immediato in ambito militare, per un anno. La Cina ha fretta. Ha molti fronti aperti e vuole essere pronta a tutto. Nei suoi documenti strategici aveva già individuato il settore biomedico come uno degli assi della propria supremazia tecnologica, aprendolo alla militarizzazione. La pandemia ha svelato al mondo che la ricerca e sviluppo dei sieri anti-Covid è stato, ed è tuttora, anche un affare militare. Lo è a Pechino come a Washington, dove il Pentagono sta giocando un ruolo prioritario nel grande programma multiagenzia “Warp Speed”. Potere di un virus.

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