sabato 20 agosto 2022
In queste settimane rimozioni e nuove nomine si stanno moltiplicando
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky - Ansa

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Dicono che la guerra amplifichi la percezione del pericolo, ma il confine tra timore e paranoia è talmente sottile da confondere talvolta la cautela con il dispotismo. A seconda delle fazioni il presidente ucraino Volodymir Zelensky è accusato dell’uno o dell’altro atteggiamento. Alcune volte di entrambi.

Nelle ultime settimane rimozioni, sospensioni, deferimenti davanti ai tribunali, hanno fatto moltiplicare gli interrogativi. Zelensky sa di essere un «dead man walking», un condannato a morte che deve misurare i suoi passi per tenerli a distanza dai sicari. La sua eliminazione fisica non è solo un’ipotesi.

Già nel primo giorno di guerra, il 24 febbraio, una squadra di killer del Cremlino era stata neutralizzata dalla guardia presidenziale a Kiev. Senza Zelensky tra i piedi per Putin sarebbe stato tutto più semplice. Avrebbe lasciato un popolo senza riferimenti e un Paese a un passo dell’essere conquistato.

L’effetto è stato il contrario: coagulare le forze, anche quelle dell’opposizione più dura, intorno al capo dello Stato per farne il principale simbolo della resistenza. Da allora i tentativi di eliminarlo si sono ripetuti. È cominciata così una guerra interna per stanare collaborazionisti, fiancheggiatori, spie russe infiltrate nella macchina pubblica dell’Ucraina. Vladimir Putin non ha mai smentito ufficialmente le voci secondo cui avrebbe dato l’ordine di uccidere l’ex attore comico.

Con le armi dell’esercito e quelle della comunicazione questi ha invece messo in ridicolo l’aspirante zar, che vaneggiava di una breve campagna militare per conquistare l’Ucraina, ma quasi sei mesi di guerra è rimasto impantanato nei territori che sostanzialmente controllava in passato attraverso i separatisti del Donbass e la Crimea che Mosca si era annessa unilateralmente, e illegalmente, nel 2014. Fin dai primi round negoziali andati a vuoto, quando Kiev aveva inviato le prime linee della diplomazia e Putin aveva delegato le sue terze file di governo senza un vero potere di trattativa, nella capitale ucraina si era parlato della sparizione di uno dei propri negoziatori, scoperto in relazioni pericolose con Mosca.

Tra gli ultimi a cadere in ordine di tempo vi è stato il comandante delle forze speciali dell’esercito di Kiev, Grigory Galagan, accusato di non aver fatto abbastanza per difendere il Paese. Il 9 luglio sempre per decreto presidenziale, sono stati rimossi gli ambasciatori straordinari e plenipotenziari in cinque Paesi: Germania, Ungheria, Norvegia, Repubblica Ceca e India. Tra di loro anche Andrii Melnyk, il rappresentante a Berlino che più volte aveva criticato le autorità tedesche per la lentezza delle consegne di armi all’Ucraina.

Gli avvicendamenti a tappe forzate consolidano l’entourage di Zelensky, ma trasmettono l’immagine di un sistema di governo fragile e permeabile. Tra i licenziati c’è anche il capo del servizio di sicurezza Ivan Bakanov, rimosso in conformità con «l’articolo 47 dello statuto disciplinare delle forze armate ucraine», si legge in una nota ufficiale, che parla di «mancato svolgimento dei compiti di servizio, che hanno portato a vittime umane o altre gravi conseguenze, o creato una minaccia».

In precedenza era stata sostituita Iryna Venediktova, che era in carica come procuratore generale e stava seguendo migliaia di casi di crimini di guerra commessi dalle forze russe. Qualche volta le rimozioni hanno riguardato funzionari che la sparavano grossa. Come Lyudmila Denisova, commissario per i Diritti umani, accusata dal governo di Kiev di gonfiare i report riportati da molti organi di stampa internazionali (all’epoca Avvenire insieme a pochi altri faceva scarso affidamento nelle informazioni provenienti da quell’ufficio, ndr).

Ad oggi si contano oltre 1.400 procedimenti giudiziari contro presunti complici di Mosca. Sarà un decreto presidenziale dei prossimi giorni a stabilire quali siano i comportamenti illegali. Anche per evitare di desertificare la stessa cerchia di un presidente la cui sorte personale non dipende dall’esito della guerra. Finché Putin sarà al potere Zelensky e la sua famiglia non saranno mai veramente al sicuro.

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