giovedì 14 ottobre 2021
Guerra tra le due Coree sul programma, secondo il Nord nel format di Seul «l'umanità è alienata»
Successo mondiale. Squid Game presentato al centro culturale coreano ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti

Successo mondiale. Squid Game presentato al centro culturale coreano ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti - Reuters

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A giugno aveva inveito contro il K-pop, il pop in salsa sudcoreana che sta invadendo senza tregua da Seul i mercati asiatici della musica, bollandolo come un «cancro vizioso che corrompe i ragazzi». Ora è la volta di “Squid Game”, la (controversa) serie tv targata Netflix, specchio nel quale si rifletterebbe la «natura bestiale della società capitalistica sudcoreana» e nella quale «la corruzione e i furfanti immorali sono all’ordine del giorno». Il leader nordcoreano Kim Jong-un accende i motori della propaganda per colpire, attraverso il sito Arirang Meari, l’influenza “nefasta” di Seul. Una “infezione” tanto più pericolosa per il regime nordcoreano perché capace di scavalcare agilmente i confini fisici che separano le due Coree.

Pyongyang è categorica: la serie – nella quale nel tentativo di vincere 45,6 miliardi di won (38 milioni di dollari) un pugno di concorrenti si impegna in una serie di “giochi mortali” – riflette «una società iniqua dove il forte sfrutta il debole» e «dove l’umanità è alienata dalla competizione portata all’estremo »: una sorta di buco nero nel quale si addensa una folla di «perdenti in forte concorrenza per occupazione, proprietà immobiliari e azioni aumenta drammaticamente ». Insomma il Sud “sporco e cattivo”, da contrapporre all’incorrotto Nord.

Ma non basta. A infastidire il Nord sono anche le dimensioni planetarie del successo di “Squid Game”. Secondo il quotidiano sudcoreano “ The Korea Times”, il «dramma distopico», scritto e diretto da Hwang Dong-hyuk, «ha scalato le classifiche di Netflix in più di 80 Paesi» e vanta una platea di «111 milioni di spettatori nei primi 28 giorni di programmazione. Ma perché Kim Jong-un teme tanto l’invasione di Seul e dei suoi prodotti culturali, puntando il dito perfino contro lo slang del Sud? Per Tae Yong-ho, il primo disertore nordcoreano ad essere eletto nel Parlamento sudcoreano, citato dall’agenzia Reuters, il motivo è semplice.

L’influenza di Seul è debordante. «Di giorno, la popolazione nordcoreana grida “lunga vita a Kim Jong-un”, ma di notte tutti guardano drammi e film sudcoreani». Un’ubriacatura che rischia di distrarre i giovani «dalla gloriosa rivoluzione socialista». Tanto che il quotidiano nordcoreano Rodong Sinmun ha, in passato, denunciato il rischio sovversione veicolato dalla mode del Sud: «La penetrazione ideologica e culturale sotto l’insegna colorata della borghesia è ancora più pericolosa dei nemici che prendono le armi». Una serie di richiami che però non hanno avuto successo, non modificando di fatto le abitudini e i consumi dei nordcoreani.

Secondo il quotidiano sudcoreano “ The Korea Times” il 44% della popolazione nordcoreana consuma con frequenza programma tv, film e canzoni sudcoreane, mentre il 40,% dice che ha ascoltato o visto solo una o due volte. Solo il 18,2% non ha mai avuto accesso alla produzione del Sud.

Una “deriva” a cui il dittatore di Pyongyang Kim Jong- un ha opposto la “Legge per l’eliminazione del pensiero e della cultura reazionari”, una raffica di pene severe contro chi “consuma” prodotti culturali provenienti dalla Corea del Sud: dalla detenzione per quindici anni al carcere duro all’interno dei campi di lavoro fino alla pena di morte.





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