martedì 19 maggio 2020
Nell’ordinanza si definisce sproporzionato il divieto totale di riti aperti ai fedeli contenuto nel decreto dell’11 maggio. Un attentato grave e manifestamente illegale alla libertà di culto
La preparazione di una messa drive-in in Francia, a Chalon en Champagne

La preparazione di una messa drive-in in Francia, a Chalon en Champagne - Reuters

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In Francia, anche durante le settimane di confinamento più stringente, le chiese erano rimaste spesso aperte per momenti solitari di raccoglimento. Poi, la fase 2 nazionale cominciata l’11 maggio aveva “dimenticato” la libertà religiosa: mantenuto, in particolare, il divieto totale di riti aperti ai fedeli negli edifici di qualsiasi culto. Ma questo prolungamento del divieto è ora riconosciuto come “illegale” e “sproporzionato” dall’organismo al vertice della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato, pronto subito ad ordinare al governo di autorizzare i riti entro 8 giorni.

L’ordinanza del giudice delle procedure per direttissima, datata 18 maggio, contiene un’inequivocabile ingiunzione verso l’esecutivo, chiamato a prendere «le misure strettamente proporzionate ai rischi sanitari corsi, per inquadrare i raggruppamenti e le riunioni nelle strutture di culto». Ancor più chiaramente, il Consiglio di Stato ordina al «Primo ministro di modificare, entro otto giorni, il decreto dell’11 maggio 2020 prendendo le misure strettamente proporzionate ai rischi sanitari incorsi e appropriati alle circostanze di tempo e di luogo applicabili in quest’inizio di “de-confinamento”».

A proposito del mantenimento del divieto assoluto di riti anche nella “fase 2”, l’ordinanza si mostra severa, sottolineando che sono ormai possibili «misure d’inquadramento meno stringenti» di quelle applicate (in vigore dal 15 marzo), anche in considerazione "della tolleranza verso i raggruppamenti di meno di 10 persone in altri luoghi aperti al pubblico". Le misure mantenute dal governo attentano in modo “grave e manifestamente illegale” alla libertà di culto, si può leggere nell’ordinanza.

Ad interpellare il Consiglio di Stato era stato un insieme di partiti politici, società clericali e associazioni, come il Partito cristiano-democratico dell’ex candidato all’Eliseo Jean-Frédéric Poisson, o la Fraternità sacerdotale San Pietro, riconosciuta da san Giovanni Paolo II nel 1988 e con sede in Svizzera.
Per autorizzare con nuove regole i raggruppamenti religiosi, concretamente, il governo avrà tempo fino al 26 maggio. Una scadenza che molto si avvicina alla data del 29 maggio già prefigurata nelle scorse settimane dall’esecutivo per lanciare la fase 2 anche per la pratica religiosa.
Ma se gli effetti pratici dell’ordinanza potrebbero essere cronologicamente circoscritti rispetto allo scenario già previsto, si tratta nondimeno di una svolta giudiziaria d’importanza cruciale in un Paese in cui le relazioni fra autorità civili e rappresentanti religiosi sono non di rado al centro d’incomprensioni o tensioni, nella scia della dolorosa evoluzione storica di quella “laicità alla francese” sempre tanto controversa, oltre che poco compresa fuori dai confini transalpini.

I vescovi francesi, che nelle ultime settimane hanno condotto un dialogo serrato con il potere centrale per un pieno riconoscimento della libertà religiosa, reiterando in particolare proposte di soluzioni vieppiù precise per trovare una via d’uscita concordata, hanno reagito ieri sottolineando che l’ordinanza del Consiglio di Stato «va nella direzione della lettera scritta dal Presidente della Conferenza episcopale francese, monsignor Eric de Moulins-Beaufort, al Primo Ministro, venerdì 15 maggio». Dopo la revisione del decreto, recita il comunicato, «delle celebrazioni saranno possibili, rispettando le regole sanitarie comunicate in risposta alle proposte fatte dalla Conferenza episcopale francese».

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