venerdì 12 marzo 2021
Conclusa la lunga battaglia legale del quotidiano cattolico "The Herald" per vedere riconosciuto il diritto all’utilizzo del sostantivo arabo “Allah” per indicare anche il Dio cristiano
Kuala Lumpur, capitale della Malaysia

Kuala Lumpur, capitale della Malaysia - Reuters

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Una sentenza che si può definire “storica”, quella con cui l’Alta corte della capitale malese Kuala Lumpur ha segnalato senza ambiguità che l’uso del vocabolo “Allah” può essere ammesso anche per i cristiani per riferirsi a Dio. Un uso peraltro corrente anche tra i battezzati, in una realtà in maggioranza, anche se non prevalentemente, islamica. La Malaysia, infatti è un Paese multietnico, dove la libertà di pratica religiosa è garantita dalla Costituzione ma nella prassi la discriminazione è presente, ad esempio nell’applicazione del diritto di famiglia.

Sotto la spinta di una radicalizzazione che si è estesa negli ultimi anni anche per un uso politico della religione, non si è mai assopiata la controversia riguardo l’utilizzo esclusivo del vocabolo “Allah”.

Da tempo le numerose comunità cristiane (complessivamente il 9,2 per cento della popolazione, soprattutto di origine cinese, indiana o tra le minoranze etniche del Borneo) lamentano la violazione di un proprio diritto all’utilizzo di una parola di uso corrente nella lingua malese e l’ultimo caso su cui hanno sentenziato i giudici nei gironi scorsi ha riguardato il sequestro – ancora nel 2008 - di oggetti religiosi a una cristiana di ritorno dall’Indonesia. La donna non ha mai rinunciato a cercare giustizia per quello che riteneva un arbitrio.

Estendendo l’autorizzazione a altri vocaboli di origine araba con esplicite connotazioni religiose pure entrati nell’uso comune, l'Alta corte ha stabilito che anche Kaabah (il santuario più sacro dell'Islam alla Mecca), Baitullah (la Casa di Dio), e Solat (preghiera) - possono essere utilizzate dai cristiani, i giudici hanno pure sottolineato che il divieto finora in vigore era "illegale e incostituzionale".

Un intervento che è riferito anche ai tribunali di livello inferiore che nel corso degli anni hanno emesso sentenze discriminatorie basandosi rivendicando il primato dell’islam nel Paese data la predominanza etnica dei malesi, in maggioranza di fede musulmana.

Caso più dibattuto e controverso era stato in passato quello del quotidiano cattolico The Herald, che aveva ingaggiato un duro braccio di ferro legale per vedere riconosciuto il diritto all’utilizzo di “Allah” per indicare anche il Dio cristiano nelle pagine dedicato all’informazione religiosa. Una vertenza legale che si era trasferita nelle strade acuendo tensioni tra le comunità musulmana e cristiana, con devastazioni e roghi di luoghi di culto e aggressioni. Dopo la vittoria dell’editore nel 2009, nel 2014 il tribunale di appello aveva rovesciato la sentenza reintroducendo il divieto.

Una restrizione di fatto annullata dall’Alta Corte, la cui decisione sta suscitando forti polemiche e anche attacchi dalla politica islamista.

La coalizione Muafakat Nasional - nata in vista del voto che si dovrebbe tenere entro l’anno dalla convergenza del partito islamista Pas e dell’Umno, dominatore della scena politica malese dall’indipendenza ma fortemente indebolito – ha già chiesto l’annullamento della sentenza.




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