mercoledì 9 marzo 2022
Dal caso Riace verso una progettazione condivisa dei nuovi percorsi all’insegna dell’inclusione e della sostenibilità
A Riace l'inclusione degli immigrati ha cementato la comunità

A Riace l'inclusione degli immigrati ha cementato la comunità

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La storia di Riace ci ha mostrato quale può essere l’impatto dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati quando è gestita nell’interesse del territorio ospitante. Non è solo un’occasione per cambiare la relazione con gli altri, intessere nuove reti e sperimentare inediti percorsi d’inclusione: può diventare la leva per ridefinire le modalità di gestione di molti servizi d’interesse generale. Diversamente da altri territori, a Riace l’accoglienza ha, infatti, contribuito a ristrutturare radicalmente una molteplicità di attività economiche, che hanno iniziato ad essere gestite da enti del terzo settore secondo logiche inclusive, grazie alla partecipazione di riacesi e migranti. Basti pensare alla gestione dei rifiuti, al recupero di arti in estinzione, al rilancio dell’agricoltura, all’avvio di un ambulatorio medico con servizi ambulatoriali e di telemedicina. Tali attività, come è stato del resto riconosciuto dalla stessa sentenza di condanna del Tribunale di Locri all’ex sindaco Lucano e a 17 collaboratori, non sono state promosse con finalità lucrative. Piuttosto, esse hanno permesso di migliorare il benessere di tutti gli abitanti di Riace, attraverso una gestione locale di attività strategiche per il territorio che, come nel caso dei rifiuti, spesso ricadono sotto il controllo della malavita. Queste esperienze hanno al contempo prodotto nuova occupazione, scontrandosi con le criticità di un territorio depresso e con forte presenza di criminalità organizzata come la Locride.

In questa nuova geometria di relazioni si è creata una nuova comunità, grazie all’incontro tra vecchi e nuovi abitanti che hanno deciso di fare di questo piccolo paese la loro casa. Attualmente sono circa 60 le persone straniere, appartenenti a circa 15 gruppi familiari, che vivono e lavorano sul territorio. Un gruppo, quindi, tutt’altro che esiguo di persone, corrispondente a circa il 3% della popolazione. Insomma, gli effetti positivi dell’esperienza riacese si spingono ben al di là delle sentenze esemplari di condanna, e non possono essere cancellati per almeno tre ulteriori ragioni. Innanzitutto perché Riace ha avuto un indelebile impatto sul sistema di accoglienza ordinario - l’attuale SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione) nato sulle spoglie dei sistemi SIPROIMI e SPRAR - che da esperienze pionieristiche come quella di Riace ha preso spunto. Riace ha in secondo luogo ispirato altri territori, che hanno fatto proprio l’approccio olistico all’accoglienza, attento all’integrazione e allo sviluppo, a loro volta adattandolo e interpretandolo, in alcuni casi, in senso maggiormente imprenditoriale. Non parliamo solo dei territori limitrofi, ma anche di tanti altri luoghi lungo tutto lo stivale, in Europa e non solo. Infine perché l’epilogo di Riace ha messo in luce il carattere anacronistico di alcune regole e prassi precostituite, rispondenti a una logica burocratico-esecutiva e assistenziale, che minano l’inclinazione ad innovare e finiscono per premiare gli enti di terzo settore che svolgono una funzione meramente esecutiva, penalizzando quelli impegnati in prima linea nel generare processi trasformativi.

Ebbene, per capire la vicenda di Riace è importante rimarcare che l’avvio dei percorsi di sviluppo e inclusione è stato possibile perché alcune regole, che disciplinano la gestione dei fondi pubblici, così come i servizi economici d’interesse generale, sono state interpretate in maniera estensiva o non sono state osservate. L’obiettivo non era agire nell’illegalità. Piuttosto, l’applicazione pedissequa e fedele di tali regole costituiva spesso un ostacolo alla garanzia del benessere delle persone. È quindi bastato appellarsi alla non conformità ad alcune regole, la cui violazione è stata peraltro per lungo tempo tollerata, per demonizzare l’esperienza di Riace e negare con forza un’evidenza incontrovertibile: l’accoglienza, se gestita nell’interesse del territorio, può generare sviluppo. Ciò detto, qualche ragione per non disperare rimane. C’è innanzitutto una diffusa consapevolezza dell’importanza del contributo di Riace. Inoltre, oggi abbiamo a disposizione qualche strumento in più per superare l’approccio securitario ed emergenziale e uscire dalle logiche di burocratizzazione e di assistenzialismo che continuano a viziare i sistemi di accoglienza e integrazione locali. Uno spazio assai interessante si apre, infatti, sul fronte della co-programmazione e della co-progettazione, due istituti oggi a disposizione delle pubbliche amministrazioni per sperimentare dinamiche collaborative di disegno delle politiche pubbliche. Su questo terreno è possibile una progettazione condivisa con il terzo settore di nuove pratiche di accoglienza e integrazione, che possano uscire dalla logica prestazionale per imboccare nuovi percorsi di sviluppo locale, all’insegna dell’inclusione e della sostenibilità. L’esperienza di Riace ha tracciato un solco, che non è più possibile cancellare. È necessario, però, non perdere il coraggio e sfidare con forza i tentativi di cancellare accoglienza e umanità.

* Euricse **European University Institute

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