Per le fondazioni
rendicontare
è come
valutare?

Molte organizzazioni filantropiche si limitano, una volta erogati i fondi agli enti non profit, a controllare le rendicontazioni Servono però valutazioni qualitative più precise per capire se le attività svolte abbiano inciso in maniera positiva
December 16, 2025
Per le fondazioni
rendicontare
è come
valutare?
Sono molto cresciute, negli ultimi anni, le fondazioni che – anziché agire in prima persona – preferiscono erogare denaro a fondo perduto a organizzazioni del terzo settore (principalmente associazioni e cooperative) che gestiscono attività coerenti con le finalità perseguite dalle fondazioni stesse. Di conseguenza, anche in Italia, come già da tempo accadeva negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania, il settore non profit si è «specializzato dal punto di vista funzionale»: da una parte le organizzazioni filantropiche, ben patrimonializzate e alla costante ricerca di soggetti che possano usare le risorse finanziarie da loro generate per «cambiare il mondo», auspicabilmente in meglio; dall’altra le organizzazioni operative, concentrate sulla realizzazione di specifiche attività che mirano a cambiare il mondo e alla costante ricerca di denaro per finanziarle.
Si è così generato un circolo potenzialmente virtuoso nel quale le organizzazioni filantropiche erogano risorse alle organizzazioni operative che le usano per finanziare i propri servizi. In questo contesto, si pone per l’ente filantropico un problema che gli economisti chiamerebbero “di agenzia”: l’organizzazione che riceverà le erogazioni utilizzerà i fondi per perseguire le finalità concordate? Lo farà nel miglior modo possibile? Agirà senza sprechi? Sono tutte domande legittime che possono sorgere, ad esempio, per la distanza geografica tra i due soggetti, oppure per la scarsa conoscenza reciproca o, ancora, per la ridotta competenza tecnica dell’erogatore rispetto alle attività che vengono svolte.
Gli enti filantropici rispondono spesso a questo problema avanzando richieste di rendicontazione delle spese effettuate, così da controllare il corretto utilizzo dei fondi erogati. È un atteggiamento legittimo, anche se talvolta vissuto con fastidio dai destinatari delle risorse, che preferirebbero utilizzare queste ultime in modo più libero e discrezionale, evitando i costi che ogni rendicontazione inevitabilmente comporta. Per questo, molte fondazioni stanno riflettendo sul modello della
trust based philanthropy
.
Ma rendicontare non è valutare. Quando si valuta non si analizzano le modalità di uso delle risorse ma ci si interroga piuttosto sull’efficacia delle attività svolte nel generare il cambiamento del mondo che si auspica. Infatti, una organizzazione destinataria di erogazioni può avere svolto in modo perfetto tutte le attività concordate, senza alcuno spreco e con piena dedizione; ciononostante, le attività potrebbero rivelarsi inefficaci, sicché il problema che si voleva risolvere continuerà a esistere. Per questo è necessario valutare.
Se la domanda rendicontativa delle fondazioni filantropiche è alta, la loro domanda valutativa è invece assai bassa e, spesso, molto ingenua. Qualche volta, questa domanda valutativa cela una esigenza comunicativa: per accrescere la reputazione della fondazione è utile mostrare quanto la sua attività abbia mobilitato molte risorse, coinvolto molti partner o raggiunto numerosi destinatari. Purtroppo, né le risorse spese né i partner coinvolti né i destinatari raggiunti possono dirci se le azioni sono state utili per “cambiare il mondo”: le risorse potrebbero essere state destinate ad attività inutili, i partner potrebbero avere creato confusione e spreco di tempo e i destinatari potrebbero addirittura essere stati danneggiati dalle attività svolte.
Valutare significa invece chiedersi in maniera autentica e genuina se le attività svolte hanno contribuito a cambiare il mondo nella direzione auspicata. Non è semplice stabilirlo. Prima di tutto è indispensabile definire con precisione che tipo di cambiamento si vuole realizzare e in che modo sarà possibile misurare se esso sia avvenuto. Ad esempio, sarà facile capire se il numero delle persone con disabilità che lavora stabilmente è cresciuto, mentre sarà assai più complesso capire se la coesione sociale è aumentata; se quest’ultimo fosse è il nostro obiettivo, dovremmo attrezzarci per capire come misurarne il raggiungimento. In secondo luogo, è necessario stabilire in modo preciso con che strategia e attraverso quali attività si mira a generare il cambiamento. Solo in presenza di precisi “protocolli di intervento” saremo in grado di valutare l’effetto delle attività. Se, per aumentare il tasso di occupazione delle persone con disabilità, ogni ente sostenuto da una fondazione realizzerà attività diverse (ad esempio formazione d’aula, incrocio domanda offerta, training sul lavoro, sostegno psicologico, ecc.) sarà quasi impossibile comprendere l’efficacia degli interventi che sono stati sostenuti.
Infine, anche se l’obiettivo di cambiamento è stato ben determinato, esistono misure relative al suo livello ed è chiaro in che modo ci proponiamo di intervenire per modificare tale livello, il lavoro non è finito. Anzi, comincia allora la parte più difficile: dobbiamo chiederci se l’eventuale cambiamento nella direzione auspicata dell’indicatore che esprime il grado di raggiungimento dell’obiettivo (il tasso di occupazione delle persone con disabilità) dipenda dall’intervento realizzato, sia indipendente da quest’ultimo o, addirittura, sia avvenuto malgrado l’intervento.
Per rispondere a questa domanda è necessario chiedersi che cosa sarebbe successo in assenza dell’intervento: il cambiamento non sarebbe avvenuto, e dunque l’intervento è efficace? O sarebbe avvenuto comunque, e quindi l’intervento è inutile? O, addirittura, sarebbe stato anche maggiore, e pertanto l’intervento è dannoso? Poiché nessun è in grado di osservare il “mondo che non si è realizzato” (quello in cui l’intervento non è avvenuto) è necessario adottare specifiche tecniche logiche e statistiche per stimarne la forma e le caratteristiche. Le più accorte fondazioni, sul piano internazionale, si affidano a valutatori esperti per utilizzare queste tecniche che fanno ricorso a strumenti quantitativi e qualitativi opportunamente integrati. In Italia pochissime lo fanno. Rendicontare è utile, ma non basta e, anzi, non è la cosa più utile che le fondazioni possano fare.

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