mercoledì 15 febbraio 2023
«Ribelli», «bionici» o «immobili»: Massimo Mantellini delinea in un saggio tre scenari per l’uso del Web nella terza età
Se la rete ha i capelli bianchi: Internet è un Paese per vecchi?
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A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento una sorta di fascinazione si impossessa della letteratura occidentale: la passione per il tema del doppio. È tutto un susseguirsi di romanzi (e capolavori) che esplorano l’abisso della duplicità che abita l’essere umano. Dentro, a profondità sconosciute, nel segreto dell’anima, si agita un fantasma, uno spettro, un altro perturbante io. È il caso del Dr. Jekyll e del suo doppio, Mr. Hyde: rispettabile il primo, assassino il secondo. Eppure sono la stessa persona. Ancora ne Il sosia dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij, il doppio assomma tutte le proiezioni del protagonista del romanzo Goljadkin. Quello che Goljadkin non è, è incapace di essere, desidera essere ma non riesce ad essere, si concentra – ai suoi occhi – nella figura del misterioso sosia. E ancora, una delle più celebri opere della letteratura inglese: Il ritratto di Dorian Gray. Nel capolavoro di Oscar Wilde si intreccia una fitta rete di scambi: tra realtà e finzione, tra giorno e notte, tra giovinezza e vecchiaia. Dorian Gray, grazie a una sorta di patto faustiano, rimane giovane, mentre le tracce (e gli insulti) del tempo si trasferiscono sul suo ritratto. Toccherà a Sigmund Freud codificare questo nuovo magmatico sapere nella figura dell’inconscio: l’estraneo è in noi, conficcato nelle nostre profondità, nascosto in un groviglio che sfugge ai processi razionale e che, al tempo stesso, li condiziona.

Quella che sembrava un’esperienza relegata nei campi della letteratura – l’esperienza del doppio – ha oggi rotto i confini dell’espressione artistica, migrando in altri lidi: nel digitale. La rivoluzione digitale, quella strana “esplosione” che si è abbattuta sulle nostre vite con la forza e la imprevedibilità di uno tsunami, ha popolarizzato (banalizzandola?) l’esperienza del doppio. Ognuno di noi ha, oggi, una seconda identità: quella che vive, si espone, si svela, argomenta, a volte litiga, spesso si pavoneggia sui social. Un doppio, un avatar veleggiante sulle infinite rotte del Web, che non ha mai fatto esperienza di un tempo dell’esistere: invecchiare. È da questo paradosso, dalla constatazione che «nessuno è diventato vecchio su Internet » e che «siamo davanti a una landa inedita, in buona parte inesplorata », che muove Massimo Mantellini nel suo Invecchiare al tempo della rete (Einaudi, pp 144, euro 12) Scrive Mantellini: «Abbiamo immaginato di utilizzare Internet per migliorare la democrazia, per dribblare le mire del capitalismo, per essere meglio informati, più colti, più vicini alle persone che ci interessano, per comprendere il punto di vista altrui, per premiare finalmente i migliori di noi. Ma non abbiamo ancora detto – e probabilmente nemmeno abbiamo osato pensarlo – che internet migliorerà l’ultimo periodo della nostra vita. Non lo abbiamo detto perché fino a ieri non ci interessava; non ce lo siamo chiesti perché, per questi due decenni appena trascorsi, nessuno era davvero invecchiato in rete».

Una cosa è certa ed è quasi banale ribadirla: la tecnologia ha modificato profondamente il nostro stare al mondo. La nostra presenza è continuamente trafitta dall’apertura di innumerevoli “finestre”, unità spaziotemporali che ci dislocano altrove: possiamo essere fisicamente in un posto e virtualmente in un altro (o in tanti altri). Come sarà allora invecchiare dentro il sempre più fluido ambiente digitale? Mantellini indica due imbuti che rischiano di soffocare il rapporto tra la vecchiaia e il digitale. Primo: la tecnologia deve essere accattivante, obbedire all’urgenza della velocità, occhieggiare continuamente al nuovo, all’inatteso, all’inaspettato. È insomma fatta da giovane e pensata per i giovani. Risultato? I vecchi rischiano di trovarsi, scrive Mantellini, «dentro una marginalità che origina per la prima volta dal design degli oggetti: una specie di dichiarazione di irrilevanza che ogni persona anziana vedrà ripetuta ogni giorno, dentro ogni gesto della parte della vita che gli resta ». È quella ribellione degli oggetti che Jean Baudrillard aveva già avvertito come incipiente e minacciosa: il funzionamento di quello che ci circonda ci è letteralmente sconosciuto (se non ostile). Da questa vocazione al nuovo che connota la tecnologia, discende una seconda conseguenza: costretti a inseguire il flusso incessante delle novità, gli adulti che si approssimano ad entrare nella nuova stagione della vita rischiano di sperimentare un senso continuo di frustrazione: « La tensione fra tecnologie digitali ed età avanzata è un confronto incessante fra possibilità e delusioni ». Un caso emblematico, descritto dall’autore, è «la digitalizzazione del denaro» dove l’affollarsi di app, codici, identificazioni, password, procedure sempre più complesse e articolate, rende praticamente chimerico l’utilizzo per gli anziani dell’home banking.

E allora? La tecnologia riuscirà ad esorcizzare quello che Mantellini definisce «uno dei tratti peculiari dell’età avanzata» vale a dire «il diventare invisibili»? Finirà per rallentare o favorire questo scivolamento? L’autore ammette che una cartografia, uno strumentario per orientarsi è ancora di là da venire. Regna l’indecidibilità. Sono tre allora gli scenari possibili tracciati dallo studioso. Primo: gli anziani diventeranno «i nuovi ribelli ». Forti del loro numero, «costringeranno le tecnologie sociali» ad adattarsi a loro, a confezionarsi sui loro bisogni. Non più dunque velocità forsennata, ma decelerazione. Non solo leggerezza, ma più profondità. Secondo scenario: «la fede cieca nella tecnologia», la nascita, scrive Mantellini, del « vecchio bionico», vale a dire di un internauta canuto capace di «surfare » tra le novità pur senza esserne il principale beneficiario e di goderne degli effetti anche se solo di rimbalzo. Terzo e ultimo scenario: «la pietra immobile digitale», la rinuncia, l’abbandono della frontiera digitale. La diserzione. Quale sia lo scenario che prevarrà, resta inaggirabile un compito: la custodia della fragilità di cui è intessuta la vecchiaia.

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