martedì 28 settembre 2021
Sono ben 871 i soggetti impegnati nella gestione dei beni immobili sottratti alla criminalità in oltre 350 Comuni di 17 Regioni
Beni confiscati: il frutto sociale è creare lavoro
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Economia pulita e di qualità, lavoro vero, inclusivo. Per giovani e soggetti deboli e esclusi come immigrati, detenuti, disabili. È quella che si fa in decine di realtà che gestiscono beni confiscati alle mafie. Secondo l’ultimo censimento di Libera sono ben 871 i soggetti impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata: al Nord 206, al Centro 57, al Sud e Isole 608, in oltre 350 comuni di 17 regioni. Più della metà sono associazioni (468) ma subito dopo 189 cooperative sociali. Ci aiuta a riflettere Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud. «Tra le nostre strategie generali c’era anche la valorizzazione dei beni comuni ma intesi come beni culturali e ambientali. Dal 2011 abbiamo cominciato a dire che lo sono anche i beni confiscati». Ma non basta. «Ci siamo accorti che determinano opportunità di lavoro. Ed è importantissimo. Quando si confisca un bene la gente è contenta, ma se poi non è usato, comincia ad avere dei dubbi: "forse era meglio prima quando c’era un po’ di lavoro". Nel momento in cui il bene viene utilizzato e fa lavorare, è la vittoria vera».Ad oggi, grazie alla Fondazione, sono stati valorizzati 105 beni confiscati con un’erogazione di 21 milioni di euro. Le regioni più interessate sono Campania (39), Sicilia (28), Puglia (20), Calabria (16). Due mesi fa è stato costituito un gruppo di lavoro permanente sui beni confiscati e si guarda con grande attenzione ai 300 milioni del Pnrr assegnati alla ministra del Sud, Mara Carfagna proprio per progetti sui questi beni. Intanto tanti sono diventati davvero luogo di vero lavoro, grazie alla Fondazione ma anche al Progetto Policoro della Cei per l’imprenditorialità giovanile al Sud che ha contribuito alla nascita di ben sei cooperative sociali che coltivano terreni confiscati in Calabria, Puglia e Sicilia. La prima è stata Valle del Marro, nata nel 2004 su iniziativa della diocesi di Oppido-Palmi e di Libera. Così come la cooperativa Rosario Livatino, che prende il nome dal giudice ucciso il 21 settembre 1990 e coltiva terreni confiscati proprio dal giovane magistrato. Nasce nel 2012 dalla collaborazione tra le diocesi di Agrigento, Libera, Policoro, Agesci. In provincia di Crotone, Libera e il Policoro della diocesi di Crotone-Santa Severina hanno dato vita alla cooperativa Terre Joniche Libera Terra sui terreni confiscati alla ’ndrangheta. Nel 2014 nasce la cooperativa Rita Atria, sui terreni confiscati a Castelvetrano (patria del latitante Matteo Messina Denaro), Partanna e Salemi, con il partenariato della diocesi di Mazara del Vallo. Infine le cooperative Pietra di Scarto e Altereco, nate col sostegno di Policoro della diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano.

E partiamo proprio dalla Pietra di Scarto, nata nel 1996. L’obiettivo, come spiega il presidente, Pietro Fragasso, «era quello di creare occasioni di inserimento lavorativo per persone che si trovano a vivere situazioni di fragilità che ne determinano l’emarginazione». Ha attualmente sei soci e, dal 2010, gestisce un terreno confiscato, coltivato a pomodoro e olive, la famosa "Bella di Cerignola". C’è anche un fabbricato in cemento armato, soprannominato il "bunker" perché senza finestre. Ora sono state aperte tante finestre e nell’edificio entra la luce della libertà. Grazie a un finanziamento di Fondazione con il Sud, è stato realizzato un laboratorio per la lavorazione del pomodoro: passata, pelati e al naturale. È intitolato a Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del registro ucciso a Foggia nel 1995 e ci lavorano cinque persone, quattro immigrati tra i quali tre donne, vittime di sfruttamento, e uno dei soci. Si producono 70mila pezzi tra i quali 40mila di passata. Per aumentare i volumi di produzione è stata creata una rete di agricoltori locali "sensibilizzati", ai quali viene offerto un prezzo equo per il pomodoro. «Facciamo noi i "caporali", ma della legalità», spiega ancora Pietro. E infatti la raccolta viene svolta dai braccianti della cooperativa. "Ciascuno cresce solo se sognato", questa frase di Danilo Dolci è lo slogan della cooperativa. Sogno che si sta realizzando. Come a Castel Volturno su un bene confiscato alla camorra. All’ingresso un grande striscione: "Bene confiscato: qui la camorra ha perso!". È il caseificio della cooperativa sociale Le terre di don Peppe Diana, il parroco ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994. Il primo e unico realizzato su un terreno strappato ai clan. La cooperativa nasce nel 2009, e oggi, oltre al modernissimo caseificio, possiede circa 100 ettari dove coltiva in biologico grano, cereali, nocciole, legumi e foraggio.

Nel caseificio lavorano sette dipendenti fissi, mentre altri due soci si occupano dell’organizzazione. Ci sono poi dieci stagionali. Il caseificio lavora ogni settimana 40-50 quintali di latte di bufala, producendo 10-15 quintali di mozzarelle, ricotte e scamorze. Il 20% da latte proveniente dagli unici due allevamenti bio nel raggio di 200 chilometri e che si sono "convertiti" spinti proprio dalla cooperativa. I terreni producono ogni anno 1.000 quintali di grano che diventano ottima pasta artigianale e 500 di legumi poi trasformati in pasta "speciale" o inscatolati. Il foraggio viene venduto agli allevatori chiudendo così la filiera. Al fianco della cooperativa Fondazione con il Sud, che ha finanziato il progetto. E anche Gino Sorbillo, uno dei più famosi pizzaioli d’Italia, anche per impegno di legalità. Compra il 30% della mozzarella che usa a Napoli, Roma e Milano per la Margherita. E lo scrive nel menu: mozzarella di bufala Dop della cooperativa Le terre di don Peppe Diana."Cambiare per restare, restare per cambiare", era lo slogan di un gruppo di giovani cresciuti nella parrocchia di Santa Marina Vergine a Polistena, nella Piana di Gioia Tauro. Oggi sono la cooperativa Valle del Marro, che fa parte del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, commercializza i prodotti in tutta Italia, chiamata a testimoniare la propria esperienza alle Settimane sociali, alla Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, testimonial della campagna per l’8xmille. Coltiva circa 100 ettari: 28 ad arance e clementine; 12 a peperoncino, grano e mais; 60 a uliveto. Terreni in biologico, che danno lavoro, con contratti a tempo indeterminato, a undici persone. E a venti operai stagionali, la metà immigrati, assunti grazie al sostegno della fondazione "Il cuore si scioglie" di Unicoop Firenze, partner insieme a Fondazione con il Sud. Si producono 200 quintali di olio extravergine d’oliva di alta qualità, 15mila vasetti di pesto di peperoncino, arance (1.300 quintali) e clementine (1.800 quintali).

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