mercoledì 18 maggio 2022
Paolo Verri nel suo ultimo libro (Egea Editore) mette a fuoco un’osservazione ventennale sullo sviluppo delle città
Imperfetta ma perfettibile: il paradosso urbano della città che ci aspetta
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Condanna o opportunità, questo è il problema. Perché dove staremo è certo, occorre capire il "come". Le città sono il nostro futuro ancora più del nostro presente: nel 2030, il 9% della popolazione mondiale abiterà nelle 33 metropoli più grandi del mondo, nelle quali sarà prodotto il 15% del Pil globale e si elaboreranno il futuro del pianeta, i modelli di cooperazione, i nuovi modelli sociali e i tentativi di pace permanente. Ma tutto questo genera "Il paradosso urbano", che è anche il titolo di un libro di Paolo Verri (Egea Editore), che si occupa da oltre vent’anni di sviluppo delle città. "Il paradosso – spiega l’autore – è quello di inseguire la perfezione. Perché una città non può essere perfetta, ma solo perfettibile. Anche i migliori progetti sono succubi delle tempistiche, che cambiano i contesti e obbligano a riprogettare sempre. La città non è un prodotto, ma un processo che va continuamente ridiscusso".

Nel libro, lei sostiene che la prima sfida per le città italiane è riprendere il decoro e non diventare esotiche… Le città non sono solo luoghi di visita ma luoghi dove abitare con passione e consapevolezza, quindi è fondamentale il tema della cura, del verde, degli spazi per camminare o dove lasciare le auto. Decoro vuol dire attenzione per il pubblico, e farlo interagire con il privato. Per 'non esotiche' intendo che non va forzata la loro identità storica, ma serve lavorare sulla modernità per non restare ostaggi del passato.

Lei ha scelto 9 città simbolo, tre delle quali italiane, oltre a Barcellona, Pittsburgh, Lione, Istanbul, Tokyo e Wroclaw. Perché proprio queste?

Torino, perché ha accettato la sfida a non essere più solo la città della Fiat e ha cambiato il suo modello sociale passando dalla manifattura alla cultura trovando nuovi equilibri. Milano, che ha integrato politiche urbane che venivano da lontano diventando fiera della propria bellezza, grazie anche a tanti bravi sindaci in sequenza. E Matera, perché ha saputo passare dalla vergogna all’orgoglio.

Come si cambia in meglio?

Le città devono smettere di competere tra loro e superare gli ostacoli della burocrazia. Abbiamo davanti tre grandi sfide: imparare a cooperare per tenere insieme sviluppo e sostenibilità, come fanno in Olanda e in Austria con ottimi risultati. Poi riequilibrare la relazione tra natura e cultura: l’immagine degli animali che vagavano nelle città deserte durante il lockdown deve diventare la base per un nuovo pensiero. Infine governare la sfi- da tra reale e digitale, per evitare ogni forma di nuova schiavitù tecnologica e utilizzare meglio il nostro tempo.

La pandemia ha spostato molte persone verso le città medio-piccole. Staremo meglio lì in futuro?

Nei centri piccoli e medi la qualità della vita è migliore da sempre, ma le grandi città sono più veloci, resteranno sempre molto attrattive soprattutto per i giovani. Il Covid ha fatto sì che la frenesia non sia più una priorità: si torna volentieri nei borghi ma occorrono sviluppo tecnologico, buoni interscambi, servizi e trasporti. Questo secolo vuole essere veloce negli spostamenti e lento nelle prestazioni quotidiane. Ora anche Roma si sta adeguando, Milano l’ha fatto più nell’hinterland che nei quartieri intermedi, Torino deve muoversi. Servono politiche sulle opportunità.

Si parla tanto di città 'smart', ma cosa significa veramente?

La tecnologia non basta. Le città funzionano se sono comunità, servono persone che tengano insieme la gente e la coinvolgano. Le tre parole chiave sono: coraggio, umiltà e responsabilità.

I grandi eventi sportivi (le Olimpiadi soprattutto) e culturali mettono in moto il cambiamento nelle città. Cos’altro serve?

La strategia a medio periodo, che spesso manca. Le città che funzionano hanno una classe dirigente che discute in maniera aperta e ragiona sui tempi necessari: sport e cultura sono strumenti per dare visibilità alle intenzioni. Sono preziosi perché obbligano a rispettare date precise, e fanno scegliere luoghi che diventano simboli per la comunità.

Nel 2030 la città più popolata al mondo con 35 milioni di abitanti sarà Giacarta (Indonesia), mentre Osaka (32 milioni) con il 31% di anziani sarà quella più vecchia...

Quella degli anziani è una delle sfide del futuro. Investire su di loro come fa il Giappone è una visione che arriverà anche in Europa, ed è già presente nei piccoli borghi italiani. E’ indispensabile per garantire la continuità, soprattutto per il nostro Paese che necessita di non disperdere competenze che ha curato solo nel settore del cibo.

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