mercoledì 28 settembre 2022
Nel secondo rapporto dell’Osservatorio Terzjus si esaminano i traguardi raggiunti come l’avvio del Registro unico ma anche i ritardi nella definizione delle norme sulla fiscalità
L'accoglienza ai profughi nel centro parrocchiale di Tavarenuzze (Firenze)

L'accoglienza ai profughi nel centro parrocchiale di Tavarenuzze (Firenze) - Ansa

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Sono passati sei anni dalla sua approvazione e adesso la riforma del Terzo Settore è arrivata alle battute conclusive. L’avvio del registro unico (Runts) lo scorso novembre ha rappresentato un’accelerazione operativa che si attendeva da tempo. Il 'cantiere' della riforma ha registrato significativi progressi nell’ultimo anno: sono stati approvati ben otto dei 29 decreti collegati. Al momento restano ancora ai nastri di partenza soltanto cinque decreti e poi la struttura portante sarà ultimata, anche se si tratta di una materia in continuo movimento. A valutare progressi e ritardi il secondo rapporto sullo 'Stato e le prospettive del diritto del terzo settore in Italia' realizzato da Terzjus (Osservatorio di diritto del terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale fondato nel 2020 con sede a Roma) dal titolo evocativo «Dal non profit al Terzo settore. Una riforma in cammino». Il titolo indica la trasformazione legata all’attuazione progressiva delle norme e alla loro implementazione continua una sorta di 'diritto vivente'. Ha prodotto una nuova categorie di enti, gli Ets (Enti del terzo settore), che hanno acquisito un profilo giuridico proprio al pari degli enti pubblici, privati o mutualistici. Passi avanti purtroppo negativamente controbilanciati dall’assenza dell’autorizzazione europea di alcune norme fiscali. Un ritardo 'politico' perché il governo non ha ancora ufficializzato la richiesta di un regime fiscale ad hoc alla Commissione europea. Il ritardo, secondo Terzjus, ha prodotto un danno economico di 245 milioni di risorse non attribuite agli Ets e tornate al bilancio dello Stato. La mancanza di un registro unico si è fatta sentire nella vicenda dei ristori (circa 100 milioni) che sono stati pagati con forte ritardo nell’estate del 2022. Per dare una misura al peso della fiscalità all’interno della riforma basta dire che dei 190 milioni di euro messi a disposizione dal governo per l’attuazione di questa rivoluzione silenziosa la stragrande maggioranza è stata destinata all’attuazione delle nuova disciplina fiscale.

La riforma per la prima volta elimina la logica di una 'fiscalità estemporanea e di vantaggio' per gli enti non profit indipendentemente dal modello organizzativo e dalla tipologia di entrate per introdurre un sistema tributario specifico, articolato su due livelli di inquadramento. Il primo è legato alla 'qualifica' degli enti: con finalità commerciali (imprese sociali) o non commerciali. Il secondo, più specifico e di portata settoriale, prevede ambiti di 'decommercializzazione' in base alle attività svolte dagli Ets. L’obiettivo insomma è quello di garantire un prelievo fiscale che si basi su logiche coerenti e soprattutto di equità sociale. Previsto anche l’obbligo di redigere un bilancio e per gli enti che superano un fatturato di un milione anche un bilancio sociale. Per il secondo anno è stato realizzato un progetto di ricerca 'Riforma in movimento' al quale hanno partecipato più di 1400 rappresentanti di altrettante organizzazioni. La riforma appare agli enti coinvolti come un 'onere maggiore' e non come una nuova opportunità. Ma di fatto i numeri, in particolare quelli dell’iscrizione al Runts, sembrano dimostrare l’esatto contrario. Il 'nuovo' terzo settore risulta più attrattivo del generico non profit. Il registro ha visto l’adesione da novembre a luglio di oltre seimila nuovi enti (quasi 12mila le domande presentate), una media pari a circa 600 enti al mese. Accanto alle nuove realtà si sta completando il passaggio degli enti iscritti nei vecchi registri regionali che sono 88mila. Nel Runts compaiono anche da qualche mese le imprese sociali e le società di mutuo soccorso: 23mila realtà di cui 3.700 però in liquidazione o fallimento). Il 2021 oltre ad essere l’anno del Runts è stato l’anno dell’amministrazione condivisa, vale a dire dell’applicazione di un rapporto paritario nella progettazione degli interventi tra Terzo settore e pubblica amministrazione. Un focus è stato dedicato anche agli enti ecclesiastici e al 5 per mille misura introdotta nel 2006 che da 'provvisoria' è diventata nel 2022 una forma di sostegno economico stabile per il Terzo Settore con 63mila enti accreditati e 16,3 milioni di contribuenti attivi. In questa seconda edizione del rapporto ci si è soffermati sul servizio civile universale, inserito nell’ambito della riforma del Terzo settore. Dal 2017 ad oggi sono stati oltre 265mila i posti messi a bando con oltre 200mila giovani avviati per oltre la metà donne. Ogni anno sono però anno almeno 20mila i giovani che restano esclusi.

L’ultima parte del rapporto è dedicata all’analisi di cinque esperienze concrete di 'trasformazione' in Ets: da realtà storiche come la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, l’Associazione italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma (Ail), e l’Associazione per l’invecchiamento attivo (Auser) a nuovi soggetti come Sas (Scuole imprese sociale) nata da una cooperativa di Villapizzone nel milanese che ha preso la gestione della scuola paritaria Giovanni XXIII (primaria e dell’infanzia) ereditandola dalla parrocchia e la Fondazione Italia sociale (Fis) che opera per accrescere le donazioni private per progetti a forte impatto sociale. «Il Terzo settore italiano ha alle spalle una tradizione storica e può contare su una legislazione con caratteri di unicità in tutta l’Unione Europea» ha sottolineato il presidente Luigi Bobba. Le proposte per il 2023, rivolte a tutte le forze politiche in vista della formazione di un nuovo governo, sono un appello alla piena attuazione della riforma, considerata una vera e propria 'transizione sociale', che passi anche dallo stanziamento di risorse necessarie.

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