mercoledì 2 giugno 2021
Oggi agli azionisti non interessa tanto il profitto, quanto il valore. E il valore dipende dalle potenzialità future, è legato alla reputazione e tiene conto dell’impatto ambientale
Andrea Illy, presidente del gruppo Illycaffé

Andrea Illy, presidente del gruppo Illycaffé

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Non c’è vento a favore per chi non conosce il porto, ci ricorda Seneca. Forse è per questo che in illycaffè il vento continua a soffiare nel verso giusto, nonostante la tempesta della pandemia abbia azzerato per mesi il consumo di caffè nei pubblici esercizi. Il porto, in azienda, lo conoscono benissimo e ci puntano decisi da quando sono nati, 88 anni fa: si chiama responsabilità sociale e le sue tre sponde sono l’attenzione all’ambiente, alla filiera e alle persone. Chiarita la meta fin dalla fondazione, la navigazione è stata una continua ricerca di soluzioni per raggiungerla più in fretta, nella convinzione che arrivare a quel porto ripaghi sempre, anche dal punto di vista economico. A ribadirlo oggi è Andrea Illy, presidente di un gruppo che, nonostante il Covid, ha chiuso lo scorso anno con un fatturato di 446,5 milioni di euro e ha iniziato quello nuovo con un record importante: illycaffè è diventata la prima impresa italiana del caffè a ottenere la certificazione B Corp, riconosciuta a chi opera secondo i più alti standard di sostenibilità sociale e ambientale e diventa motore di rinnovamento per l’intera società. «Il settore pubblico non ha capacità di spesa tali da promuovere da solo il cambiamento – spiega Illy –; solo l’impresa privata può trasformare un mondo che oggi è sistemicamente insostenibile: è insostenibile l’economia, che non regge più il Welfare; la società, che è sempre meno inclusiva e l’ambiente, che è sempre più inquinato. Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare le imprese».

Questo significa promuovere un cambio di meta nel percorso di sviluppo aziendale, orientando la prua verso la generazione di valore e non più solo verso il profitto. «Oggi agli azionisti non interessa tanto il profitto, quanto il valore di un’azienda – conferma Illy –. E il valore dipende dalle potenzialità future, è legato alla reputazione (perché un’azienda a bassa reputazione venderà meno, perderà clienti, magari dovrà pagare dei danni…) e tiene conto dell’impatto ambientale ». A questo proposito spetta ancora una volta alle imprese non limitarsi a rispettare le leggi, ma alzare sempre l’asticella, suggerendo nuove vie per realizzare quella che Illy definisce la 'transizione agroalimentare'. «Se passassimo – spiega Illy – da un modello di agricoltura convenzionale (basato su monoculture, alta produttività e grande appli- cazione di fertilizzanti) oggi responsabile del 35% delle emissioni globali di gas serra, a un modello non convenzionale, virtuoso, rigenerativo, biologico, paradossalmente l’agricoltura potrebbe diventare 'carbon negative', quindi 'sequestrare' il carbonio invece di emetterlo». Il segreto è arricchire i suoli di materia organica, dal compost ai residui delle lavorazioni agricole. «Il suolo ha una capacità di assorbimento di carbonio tre volte superiore a quello dell’atmosfera – chiarisce Illy –. Non solo: il concime organico va a nutrire il microbiota del terreno, che fa crescere le piante ricche di agenti difensivi, rende i suoli più fertili, idratati e resilienti ai cambiamenti climatici e riduce la dipendenza da fertilizzanti e prodotti chimici. Infine ottenere un terreno, una pianta e un frutto più sani significa anche avere un consumatore più sano». Una 'lezione', questa, che ha recepito anche l’Europa. «Lo scorso anno l’Ue ha emanato la nuova strategia alimentare europea, denominata 'Farm to fork', che è perfettamente in linea con i principi dell’agricoltura virtuosa – ricorda Illy – dandosi obiettivi ambiziosissimi in termini di riduzione dell’uso di fertilizzanti e pesticidi, ma anche di quantità di produzione biologica da raggiungere. Contiene ben 200 provvedimenti legislativi che dovrebbero portare anche a una riforma della Pac (Politica agricola comune)».

La stessa illycaffè fa la sua parte nel promuovere questo modello, utilizzando uno strumento unico al mondo: l’Università del Caffè, istituzione fondata più di vent’anni fa, oggi presente in 28 Paesi e organizzata in tre dipartimenti, per educare e informare agricoltori, esercenti e consumatori. Il lavoro di formazione degli agricoltori, in particolare, si inserisce in un sistema virtuoso di relazione diretta, che ha portato l’azienda triestina a pagare prezzi superiori a quelli di mercato per la qualità prodotta, stimolando i coltivatori a un miglioramento continuo dei loro standard produttivi. «Poi il consumatore dovrà fare la sua parte – aggiunge Illy –: da un lato dovrà comprare sempre più selettivamente, orientando le sue scelte d’acquisto su prodotti più sostenibili, dall’altro dovrà cambiare dieta, riducendo il consumo di proteine animali. Trend già in atto, ma destinati a consolidarsi ulteriormente in futuro». E sempre guardando al futuro, Illy ci parla del progetto che conta di realizzare per festeggiare il centenario: «Vogliamo diventare carbon free entro il 2033 – racconta –. Ma il sogno è di farlo in modo circolare, ossia andando a 'sequestrare' carbonio all’interno della nostra stessa filiera, quindi eliminando le emissioni attraverso l’impiego di energie rinnovabili e riducendo l’impatto di ogni elemento del ciclo produttivo, a partire dal pack». Ancora una volta una meta chiarissima e una road map precisa. L’assetto migliore per catturare il vento giusto.

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