venerdì 17 febbraio 2023
I vantaggi attesi per gli investimenti sono prima di tutto economici (55%) e in secondo luogo legati alla reputazione e all’immagine (45%). Al via il master in "Risk management ambientale"
Il 90% delle aziende italiane riconosce l'importanza della sostenibilità

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Le aziende italiane riconoscono l'importanza della sostenibilità. Ma spesso sono frenate dalla paura dei costi e dalla mancanza di competenze. I vantaggi attesi per gli investimenti sono prima di tutto economici (55%) e in secondo luogo legati alla reputazione e all’immagine (45%). Sono alcune delle tendenze emerse dall'indagine di Eumetra che ha riguardato 800 imprese attive prevalentemente nel settore dell’industria, dell’edilizia, del commercio e della ristorazione. Secondo l’Osservatorio Clean Technology, il 55% delle imprese investirà di più in sostenibilità. Nonostante ciò l’83% delle imprese intervistate ha dichiarato che la propria azienda non ha ancora un piano industriale sui temi della sostenibilità. Il restante 17% è così suddiviso: 2% lo ha a breve termine (un anno), il 7% a medio termine (2-3 anni) e l’8% a lungo termine (cinque anni). Inoltre il 45% delle aziende intervistate ha effettuato investimenti in questo ambito: il 38% per interventi in efficienza energetica, il 20% per la parziale o totale riconversione industriale con adozione di soluzioni sostenibili, il 18% per installazioni di tecnologie "verdi" e il 9% in processi di economia circolare. Il 55% delle imprese non ha effettuato alcun tipo di investimenti. Tra i principali ostacoli sono stati individuati: la mancanza di competenze (38%), i costi elevati delle materie prime (31%), la mancanza di incentivi (30%) e l’eccessiva burocrazia (24%). Il restante 63% dichiara di non effettuare investimenti prevalentemente a causa dell’eccessivo costo iniziale di avvio di azioni di intervento e della mancanza di normativa di riferimento e di tecnologia. Infine, in relazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza, quasi l’80% delle imprese ritiene che sia "molto difficile" che i fondi del Pnrr vengano assegnati e spesi e il 41% sottolinea che non sarà facile accedervi. Solo il 16% si limita a sostenere senza riserve che il Pnrr è “un'occasione dalle grandi potenzialità”, senza al tempo stesso metterne in luce i limiti. Nonostante le criticità emerse, le aziende mostrano però un atteggiamento estremamente positivo nei confronti di scelte sostenibili e di economia circolare. Ben sette su dieci sono convinte che sia necessario effettuare interventi in termini di sostenibilità all’interno delle proprie imprese. Quelle più propense agli investimenti nel settore sono quelle operanti nel settore dell’energia, agricoltura, alimentare e tessile. Le principali aree di intervento riguardano una maggiore efficienza energetica (44%), maggiori investimenti in tecnologie "verdi" e pulite (23%) e percorsi di formazione (10%). E tra le aziende che già oggi adottano soluzioni sostenibili, due su tre affermano che la quota degli investimenti complessivi crescerà in futuro anche in un’ottica di crescita commerciale attesa. Il 42% degli intervistati, infatti, è convinto che i propri clienti sarebbero più propensi ad acquistare i prodotti della propria azienda a fronte di un maggiore impegno concreto nella sostenibilità.

La sostenibilità vista dai dipendenti e dai manager

Una ricerca commissionata da Amazon Business ha rivelato che, sebbene i dipendenti aziendali siano desiderosi di cambiare le proprie abitudini di acquisto per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell'azienda, questo non si traduce in azioni concrete a livello aziendale. La ricerca di mercato, condotta in collaborazione con la società Opinium, ha intervistato 5mila dipendenti di aziende britanniche, francesi, tedesche, italiane e spagnole di diversi settori, tra cui il settore pubblico, l'istruzione, l'automotive, la vendita al dettaglio e i servizi finanziari, per capire se sono in grado di prendere decisioni di acquisto sostenibili mentre sono al lavoro. I risultati mostrano che la maggior parte dei dipendenti italiani (73%) hanno all’interno della propria organizzazione delle chiare policy per la promozione di acquisti socialmente responsabili e sostenibili, ma solo un terzo dei dipendenti (35%, percentuale comunque più alta della media europea che si attesta al 29) considera sempre la sostenibilità quando acquista prodotti per la propria azienda. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, mentre l’80% degli intervistati senior ha dichiarato di conoscere tali linee guida per gli acquisti sostenibili, solo il 33% dei dipendenti più giovani sa effettivamente di cosa si tratta. Un ulteriore dato rappresenta le motivazioni dei dipendenti a preferire tale genere di acquisti, principalmente volte a dare l’esempio per i senior, che dichiarano di scegliere certi articoli rispetto ad altri per “dare l’esempio”, rispetto allo staff più giovane, che invece è guidato da un reale desiderio di proteggere l’ambiente e il pianeta. Nonostante la percezione che le generazioni più giovani siano più attente all'ambiente rispetto a quelle più anziane, la ricerca ha rilevato che i dipendenti di età pari o superiore ai 35 anni hanno lo stesso interesse degli intervistati della Gen Z nel ritenere che una maggiore sostenibilità dei beni dovrebbe essere un obiettivo chiave per il luogo di lavoro. È interessante notare che gli over 55, a livello europeo, sono più propensi a considerare sempre la sostenibilità quando prendono decisioni di acquisto (31%), rispetto a coloro che hanno tra i 18 e i 34 anni (26%). Si delinea quindi una maggiore preoccupazione per le sorti del pianeta da parte delle generazioni più giovani, ma questo ideale difficilmente si tramuta in un concreto comportamento quando si tratta di intraprendere delle azioni a riguardo, specialmente sul luogo di lavoro. Come anticipato, mentre i decisori senior (79%) e il resto dell'azienda (75%) tengono conto della sostenibilità almeno occasionalmente nelle decisioni di acquisto, in Italia i dipendenti senior sono quelli più propensi a valutarla sempre (62%) rispetto ai colleghi junior (37%). Pertanto, si potrebbe ipotizzare che l'assenza di pratiche di acquisto più sostenibili sia dovuta alla gerarchia aziendale e alla mancanza di potere, piuttosto che all'età, con i colleghi più giovani che attualmente non hanno le responsabilità o la tecnologia giusta per guidare il cambiamento a tutti i livelli dell'azienda. Per affrontare questo problema, i dipendenti hanno rivelato che una migliore tecnologia in grado di supportare pratiche di acquisto più sostenibili attraverso la guida e l'automazione (30% contro il 24% europeo) e forti linee guida aziendali sugli acquisti socialmente responsabili (27% contro il 26%) li farebbero sentire meglio equipaggiati nel prendere decisioni di acquisto più sostenibili nella loro vita lavorativa. Il miglioramento della tecnologia potrebbe anche aiutare a risolvere alcuni dei principali ostacoli che i dipendenti incontrano attualmente quando si tratta di acquistare prodotti per la propria azienda, tra cui la ricerca di prodotti più sostenibili e la conoscenza di quanto questi prodotti siano effettivamente sostenibili. Piccoli passi che però nello scenario italiano si configurano come indispensabili, aggravati dal fatto che il 55% degli acquisti sostenibili delle aziende si basa su prodotti di piccolo impatto, come articoli per le pulizie, carta igienica o cancelleria. Quando si tratta di spese più ingenti, e che hanno un maggiore impatto in ambito di sostenibilità, come i viaggi, è solo il 21% dei collaboratori italiani a prendere in considerazione la soluzione più green, rispetto alla più comoda o alla più veloce. È quindi necessario un percorso di informazione riguardo a cosa significhi essere sostenibili in azienda, andando a toccare tutti gli aspetti che possono effettivamente fare la differenza nell’impatto ambientale di un’organizzazione. A questo va affiancato inoltre un percorso di introduzione al procurement, per andare a lavorare anche sulla percezione di queste mansioni fra i lavoratori italiani, in quanto al momento ben il 37% dei dipendenti afferma di non sapere chi se ne occupi, e quale sia il loro mandato. Secondo uno studio condotto dal Global Compact delle Nazioni Unite e Accenture sui ceo e la sostenibilità, invece, i manager stanno affrontando un contesto globale estremamente complesso: la stragrande maggioranza (93%) sta incontrando dieci o più difficoltà simultanee nella gestione del proprio business e, secondo l’87%, le discontinuità in atto limiteranno il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs). Sebbene i ceo siano sempre più preoccupati da questo contesto, la quasi totalità (98%) concorda sul fatto che la sostenibilità è cruciale nel loro ruolo e responsabilità, una convinzione cresciuta del 15% negli ultimi dieci anni. Il 12esimo United Nations Global Compact-Accenture Ceo Study si basa su informazioni raccolte da più di 2.600 manager di 128 Paesi, 18 settori industriali, approfondite in oltre 130 interviste: si tratta del più grande campione mai preso in esame, a livello globale, dall’inizio del programma nel 2007. Nell’analisi, i manager mettono in guardia sul rischio della convergenza di impatti sistemici per le imprese e la società, quali maggiore fragilità del multilateralismo e relativa instabilità socioeconomica, discontinuità nelle catene di fornitura ed effetti immediati del cambiamento climatico. Man mano che queste sfide si sommano, i ceo indicano le questioni globali che tradizionalmente si trovano al di fuori della sfera aziendale - il cambiamento climatico o i conflitti sociopolitici - quali primari motivi di preoccupazione per la creazione di valore e impatto per gli interlocutori. Con soli otto anni a disposizione per raggiungere gli obiettivi indicati dagli Un Sdgs, quasi la metà (43%) dei ceo a livello mondiale afferma come i propri sforzi verso la sostenibilità siano stati ostacolati dalla congiuntura geopolitica, con una ancora più alta percentuale tra i manager dei paesi in via di sviluppo (51%). Nell'esaminare gli obiettivi “net zero” fissati dalle più grandi aziende del mondo, Accenture ha inoltre osservato che se le organizzazioni non raddoppieranno il tasso di riduzione delle emissioni di carbonio già entro il 2030, il raggiungimento dei suddetti obiettivi risulterà critico. È però da segnalare come, in un contesto frammentato, vi siano alcuni manager che continuano a ottenere grandi risultati e dare prova di come sia comunque possibile raggiungere il successo e generare valore condiviso e vantaggio competitivo per gli stakeholder, ridefinendo il futuro dello sviluppo sostenibile attraverso innovazione e collaborazione di sistema. La maggioranza dei ceo (66%) afferma infatti che le loro aziende sono impegnate in partnership strategiche a lungo termine per favorire la resilienza nelle organizzazioni. Questi leader stanno riconfigurando le catene di fornitura, riqualificando la forza lavoro, rivalutando il rapporto con le risorse naturali e reinventando i limiti del pianeta, attraverso innovazioni tecnologiche che abbraccino soluzioni di tipo fisico, digitale e biologico. I manager identificano chiaramente un forte bisogno di concentrarsi sulla tecnologia per trovare soluzioni che affrontino le sfide globali e favoriscano lo sviluppo. Molti amministratori delegati stanno già pienamente integrando la sostenibilità nelle loro aziende: investendo in nuovi prodotti e servizi sostenibili (63%), migliorando la raccolta dei dati sulla sostenibilità lungo le catene del valore (55%) e investendo in fonti di energia rinnovabili (49%). Quasi la metà (49%) sta evolvendo verso modelli di business circolari e il 40% sta incrementando gli investimenti in Ricerca e Sviluppo focalizzati sull’innovazione sostenibile. Nelle loro interviste, i ceo evidenziano anche alcune iniziative chiave sviluppate per costruire la resilienza nelle aziende. Dalla definizione di obiettivi climatici agli investimenti per creare una forza lavoro inclusiva delle diversità fino all’impegno in partnership di filiera e sistema per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate che migliorino la visibilità e trasparenza delle catene di fornitura, anche attraverso la promozione di una maggiore biodiversità. Infine, i manager continuano a chiedere un sempre maggiore impegno da parte dei governi attraverso interventi di natura regolatoria che attribuiscano priorità al definire obiettivi misurabili e a lungo termine, come la definizione di modelli standardizzati per il reporting Esg, la costruzione di un mercato globale del carbonio e incentivi per lo sviluppo di modelli di business sostenibili.

Al via il master in "Risk management ambientale"

In questo scenario saranno sempre più importanti le competenze in materia di gestione dei rischi ambientali che Cineas, Consorzio universitario senza fini di lucro - fondato dal Politecnico di Milano nel 1987 - e scuola di formazione manageriale sulla gestione dei rischi e dei sinistri, e il Pool Ambiente, Consorzio per l'assicurazione e la riassicurazione della responsabilità per danni all’ambiente, contribuiscono a creare ormai da oltre 15 anni con il master professionalizzante Risk management ambientale per lo sviluppo sostenibile dell'impresa. Il master si rivolge a professionisti del settore industriale e della pubblica amministrazione, compagnie di assicurazione, società di brokeraggio, studi legali, società di consulenza, aziende di bonifica e ripristino e neolaureati interessati ad acquisire competenze e conoscenze sulla gestione del rischio ambientale e sulla valorizzazione delle politiche aziendali per la sua riduzione. Il percorso formativo è strutturato in 86 ore di formazione e viene erogato in 43 ore in presenza e 43 ore on line dal 22 marzo al 21 giugno 2023. Il programma sviluppa le seguenti macroaree tematiche:

• Risk management e sostenibilità di impresa;
• Normativa di riferimento;
• Gestione dei sinistri ambientali.

Trovano, inoltre, spazio di approfondimento argomenti come: l’inquadramento normativo europeo e italiano e i relativi obblighi per le imprese, la valutazione degli scenari di rischio, la costruzione di una politica ambientale concreta ed efficace, i risvolti di responsabilità penale in caso di danno all’ambiente e buone pratiche aziendali. L’approccio didattico pone attenzione ai temi più innovativi e di frontiera per la formazione continua dei professionisti e prevede il coinvolgimento attivo dei partecipanti. Al master collabora anche Eni che mette a disposizione quattro borse di studio a copertura del 50% del costo d’iscrizione. Altre quattro borse di studio sono messe a disposizione da Cineas e Pool Ambiente. La scadenza per la presentazione delle domande per ottenere queste agevolazioni è il 27 febbraio 2023. Il risk manager ambientale è un professionista che si occupa di identificare, valutare e gestire i rischi ambientali a cui è esposta un’azienda. Il suo obiettivo è garantire il rispetto delle leggi in materia ambientale e minimizzare i rischi per la salute e la sicurezza per l’impresa e il territorio in cui è inserita. Questo professionista lavora in stretta collaborazione con altre figure, come i responsabili della produzione e della sicurezza, nonché con il management aziendale per implementare politiche e procedure efficaci al fine di garantire il rispetto delle norme previste e lo sviluppo del business dell’impresa. Per iscriversi al master c’è tempo fino al 14 marzo 2023. La quota d’iscrizione al master è di 2mila euro (Iva esente). Per coloro che si iscriveranno entro il 3 marzo 2023 è previsto uno sconto del 10%. Tutti i dettagli e le modalità di partecipazione sono disponibili sul sito:
www.cineas.it/formazione/master/risk-management/risk-management-ambient-sviluppo-sost-impresa.

Le buone prassi raccontate in un libro

Il sociologo Francesco Morace e la giornalista Marzia Tomasin hanno raccontato nel saggio L’alfabeto della sostenibilità la “partita a scacchi” che 26 imprese illuminate stanno giocando a favore del futuro del nostro Pianeta. Solo 30 fa la sostenibilità si sovrapponeva all’ecologismo militante e indicava una nicchia di sostenitori che – a partire dalle analisi contenute nel Rapporto sui limiti dello sviluppo commissionato al Mit dal Club di Roma e pubblicato nel 1972 – propugnava il superamento di un modello di crescita che in effetti nei cinquant’anni successivi si è rivelato insostenibile. Nonostante le numerose dichiarazioni d’intenti e i proclami che si sono susseguiti nel corso dei decenni, i risultati sperati non sono stati raggiunti e gli effetti legati al cambiamento climatico continuano a manifestarsi con una crescita esponenziale. Eppure qualcosa sta cambiando: negli ultimi dieci anni, il concetto di sostenibilità ha conosciuto un’accelerazione nella dimensione dei valori civili che neanche il più ottimista degli osservatori avrebbe potuto immaginare. La definizione dei 17 Obiettivi dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, presentata in sordina nel 2015, ha acquisito un’importanza strategica sempre maggiore e negli ultimi tre anni ha conquistato un ruolo e una centralità che hanno convinto molte aziende a farli propri. «Nel progetto L’alfabeto della sostenibilità - spiegano Morace e Tomasin - vogliamo valutare l’impatto che la sostenibilità, nel significato ampio con cui oggi la intendiamo, ha avuto e continuerà ad avere nel mondo dell’impresa, nella visione delle aziende grandi e piccole, italiane e internazionali». Per farcela, gli autori hanno individuato 26 realtà emblematiche raccogliendone le testimonianze in un saggio, che rappresenta il seguito ideale del volume L’alfabeto della rinascita 26 storie di imprese esemplari, con cui nel 2021 avevano raccontato il percorso delle imprese in grado di riemergere dal buio della pandemia. Partendo dal centro e dai due pezzi più emblematici, il re e la regina, la scelta degli autori si è basata su una riflessione riguardante modi e tempi dell’impegno sui temi della sostenibilità: in quest’ottica sono state individuate Alce Nero (1978), Patagonia (1972) e Humana People to People (1972). Ai lati della scacchiera fanno invece guardia le due torri che in Italia hanno rappresentato per lunghi anni il bastione illuminato di un welfare aziendale ante litteram: il lanificio Rossi nato nel 1862 a Schio e la fabbrica Olivetti creata ne 1908 a Ivrea. E gli alfieri? Morace e Tomasin si concentrano su sei realtà nate negli ultimi 25 anni: Banca Etica (1999), la start up Wami, che dal 2016 garantisce l’acqua a villaggi disagiati nel mondo; società che sono nate per proporre, integrare e rafforzare le logiche della sostenibilità e del welfare come Jointly (2014), Koinètica (2002), Nativa (2012) e Quantis (2006). E poi ci sono i tanti cavalli, imprese in grado di garantire il salto di paradigma in tutti i settori: la farmaceutica con Chiesi, la cosmetica con Davines, l’energia con Enel, la produzione di ceramica con Florim, gli oggetti per la tavola con Guzzini, l’irrigazione con Irritec, la produzione di caffè con il Gruppo Lavazza, la meccanica di precisione con Mep, l’elettronica con Samsung, l’automotive con Toyota, il ramo assicurativo con Unipol, quello dell’intelligenza artificiale con Video Systems, l’agricoltura con xFarm, il tessile-abbigliamento con Yamamay o la progettazione con Zordan.


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