venerdì 25 ottobre 2019
A scadenza la legge Golfo-Mosca: l’obiettivo del 30% di presenza femminile nei Cda è stato raggiunto. In Parlamento si lavora al rinnovo per altri 9 anni. «Il traguardo è la parità»
(Ansa)

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Il rischio è che si torni indietro. E che quelle posizioni nei Consigli di amministrazione faticosamente conquistate si riducano, spingendo le donne di nuovo in un angolo. Sta per arrivare a scadenza la legge Golfo-Mosca, che nel 2011 stabilì che al genere meno rappresentato (dunque quello femminile) fosse riservato almeno un terzo dei posti nei Cda delle società quotate in Borsa. E che ha raggiunto risultati straordinari: prima della legge le donne nei Cda erano 167, oggi sono 1.300. In percentuale: prima erano il 7%, oggi sono il 36%.

Approvata nel 2011, la legge valeva per 9 anni, cioè per tre mandati dei board. Ora alla spicciolata alcune società stanno uscendo dal suo raggio d’azione e non sempre, nel rinnovare il Cda, hanno rispettato volontariamente lo schema delle quote rose. «Segnali non troppo incoraggianti», ammette ad Avvenire una allarmata Lella Golfo, già deputata del Partito delle libertà e ora presidente della Fondazione Bellisario. Non solo: laddove non c’è mai stato l’obbligo, non sono stati fatti passi in avanti verso una maggiore inclusione femminile. Chi è contrario alle quote rosa, e afferma che i tempi siano maturi perché se ne possa fare a meno, è dunque contraddetto dai fatti. Le affirmative action, insomma, funzionano finché esistono. O comunque hanno bisogno di tempi più lunghi per cambiare la cultura e la società. È vero che le società quotate nel 2018 si sono dotate di un Codice che chiede di favorire l’inclusione femminile, «ma l’autoregolamentazione è una foglia di fico», dice Lella Golfo. «Non obbliga, ma raccomanda. Troppo poco».

Il Parlamento dunque, deve rimettersi al lavoro, portando ad approvazione la proroga delle quote rosa per altri nove anni. Esistono due proposte di legge molto simili, già esaminate in tempo record dalla Commissione Finanze del Senato e ora in attesa di calendarizzazione. «Non possiamo distrarci e lasciar cadere la legge – sorride Anna Cinzia Bonfrisco, prima firmataria nel gennaio 2019, da senatrice leghista, di uno dei due progetti, dal primo luglio traslocata all’Europarlamento –. Nove anni non è un periodo di tempo sufficiente a consolidare i risultati».

L’avvocata e deputata Cristina Rossello (Forza Italia) è la prima firmataria di una proposta di legge analoga, ora in attesa di discussione, e lei stessa siede nel board di diverse società. «Con la Golfo-Mosca siamo andati oltre le aspettative. E quando c’è un trend di crescita, come in questo caso, non si può fermare. L’obiettivo è il 50%».

È una questione di parità di genere e di uguaglianza, certo, e di rimozione degli ostacoli sul cammino delle donne lavoratrici. Ma è anche molto di più perché investe la crescita economica e lo sviluppo. Da una parte la legge Golfo-Mosca ha dato una sveglia al Paese, producendo un effetto trascinamento, anche se non ancora soddisfacente. Dall’altra, per restare al «microcosmo» dei board, i risultati immediati della femminilizzazione sono molteplici: l’età media dei consiglieri di amministrazione si è abbassata; è aumentata la diversità in termini di età e profili professionali ed è cresciuta la presenza di laureati. La ricerca di donne adatte alla posizione ha anche reso più virtuoso il processo di selezione: meno legato ad amicizie, più concentrato sui curricula.

Ci sono ancora delle storture, che si potranno correggere solo con un maggior rigore. Anche da parte delle donne: c’è ad esempio il fenomeno dell’interlocking, cioè più incarichi alla stessa persona in diversi Cda. Nel 2013 le donne con incarichi multipli erano il 18%; oggi sono il 34,5%. «Accade anche per gli uomini: in sede parlamentare si potrebbe prevedere un emendamento che preveda un numero massimo di incarichi», ragiona Bonfrisco. Anche le donne devono imparare, così come gli uomini, a fare spazio alle altre.

Per le stesse dinamiche, non sempre a un maggior numero di donne nei Cda corrisponde un management più femminile. L’ascensore, insomma, non sempre ha funzionato. Infine, anche i Cda hanno il famoso "tetto di cristallo": pochissimi gli amministratori delegati e i presidenti donne. La strada è ancora lunga. E sarebbe un peccato fermarsi ora.

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