giovedì 14 dicembre 2023
Nel mercato globale del petrolio lo storico cartello dei produttori, anche allargato nel suo formato Opec+, sta perdendo quote di mercato. Un effetto del boom del petrolio "made in Usa", ma non solo
Haitham Al Ghais, segretario generale dell'Opec, alla COP28

Haitham Al Ghais, segretario generale dell'Opec, alla COP28 - Reuters

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A forza di tagliare la produzione nel tentativo (finora infruttuoso), di rilanciare i prezzi, la quota dell’Opec+ nel mercato mondiale del petrolio è scesa al 51%, cioè il minimo dal 2016, quando lo storico cartello dei produttori si è allargato aggiungendo quel “più” al suo nome. Lo sottolinea l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), che cura gli interessi dei Paesi dell’Ocse ed è quindi il principale contrappeso “occidentale” all’Opec, nel report di dicembre sul mercato petrolifero.

Il giorno dopo l’accordo sulla “transizione progressiva” verso l’abbandono delle fonti fossili concordata alla Cop28 di Dubai, i dati della Iea mostrano che nei fatti, almeno in questa fase di frenata economica, l’industria degli idrocarburi ha i suoi problemi. È vero che la domanda mondiale di petrolio ha segnato un aumento forte quest’anno – con 2,3 milioni di barili in più consumati ogni giorno per un totale di 101,7 milioni di barili quotidiani – ma le stime sui consumi del 2023 sono state tagliate di 400mila barili al giorno. Per il 2024 il ritmo dell’aumento dei consumi sarà dimezzato, secondo la Iea, che si aspetta una crescita di “soli” 1,1 milioni di barili al giorno.

Chi soffre maggiormente questa frenata è proprio il cartello dell’Opec+. Nonostante l’associazione dei produttori capitanata dall’Arabia Saudita abbia concordato di estendere almeno al primo trimestre del 2024 i tagli alla produzione, nella speranza di ribilanciare l’equilibrio tra domanda e offerta per fare salire le quotazioni, i prezzi sono scesi ancora. Ora siamo sotto di 25 dollari al barile rispetto ai livelli di settembre, con il Wti americano sceso fin sotto i 70 dollari (e il Brent europeo sotto i 75).

Il problema, per i tredici Paesi dell’Opec e i dieci “associati” (tra i quali la Russia è l’assoluto protagonista), è la forza della produzione petrolifera degli Stati Uniti, che ormai supera stabilmente i 20 milioni di barili al giorno, ma anche del Brasile (vicina ai 4 milioni di barili al giorno) e della Guyana (che punta ad arrivare a un milione di barili al giorno per il 2027). Grazie all’aumento di questa produzione “americana” e al rallentamento della domanda il petrolio sul mercato non manca, e questo è sempre più visibile anche sul mercato finale. In Italia il prezzo della benzina e del gasolio è ormai stabilmente sotto gli 1,8 euro al litro e in certe stazioni di servizio è già scivolata sotto gli 1,7 euro.

A livello globale, ricorda la Iea, è in corso un passaggio per molti versi storico: il polo centrale nelle forniture mondiali si sta spostando rapidamente dal Medioriente alle Americhe, mentre sul lato della domanda il consumatore di riferimento diventa sempre più la Cina, da sola ha fatto il 78% dell’aumento dei consumi del 2023. Il legame tra Opec ed Europa così continuerà a indebolirsi, mentre si rafforza l’asse energetico transatlantico.

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