sabato 5 luglio 2014
La ricerca è stata effettuata dall'Associazione direttori del personale ponendo 12 domande a 109  tra gli iscritti, appartenenti a importanti realtà imprenditoriali (nella foto Paolo Citterio, presidente Gidp).
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Il lavoro agile o smartwork consiste nella possibilità concessa dalle aziende ai propri dipendenti di lavorare come liberi professionisti pur restando nell’ambito del lavoro subordinato, di poter quindi organizzare in autonomia il proprio orario a seconda degli obiettivi da raggiungere. Come ogni trasformazione, tutto questo richiede uno straordinario cambio di mentalità da parte dei dipendenti, dei sindacati, delle imprese e delle istituzioni. A che punto siamo? La ricerca è stata effettuata da Gidp (Associazione Direttori del Personale) ponendo 12 domande a 109  tra i direttori del personale iscritti all’Associazione, appartenenti a importanti realtà imprenditoriali: le aziende in questione sono, infatti, caratterizzate dalle grandi dimensioni (ben il 60,55% conta oltre 500 dipendenti) e sono, per quanto concerne la proprietà, soprattutto Multinazionali (58,72%). Per la maggior parte collocate nel Nord Ovest (55,97%), le imprese operano in numerosi settori merceologi, altamente differenziati tra loro. Si passa dal 11,94% dal settore terziario innovativo e servizi alle imprese, al 10,10% dell’informatica e software, all’industria chimica con il 3,67%, all’1,83% nel settore della ristorazione. Il 52,48% dei rispondenti pensa che la decisione di lavorare da casa o dall’ufficio sia oramai una strada percorribile. Ciò presuppone la capacità di valutare i dipendenti tramite i risultati raggiunti e non con il tempo passato in ufficio e il 42,16% dei rispondenti ritiene che questo cambio di paradigma è possibile in tempi brevi e solo il 10,79% non sa esprimersi in merito.  I pessimisti, invece, sono il 47,06% e ritengono che le norme che regolano la tipologia delle postazioni casalinghe sono troppo rigide (23,09%), il controllo sui tempi è imprescindibile (15,38%), difficile gestire la sicurezza sul lavoro (7,69%), l’ostilità del sindacato (7,69%), la cultura del controllo e mentalità non pronto per il cambiamento, la mentalità dei dipendenti non pronta e non reali vantaggi aziendali (44,23%).Il 34,09% dei rispondenti dichiara che nella propria azienda non è utilizzato il telelavoro ma che sarebbero interessati a sfruttarlo anche a livello parziale per migliorare il work life balance (6,82%), aumentare la flessibilità (4,55%), risparmiare i costi per l’azienda e la retention per i dipendenti (3,40%) e per migliorare l’organizzazione del lavoro (2,28%). Il 28,41% dei rispondenti utilizza il telelavoro domiciliare in azienda principalmente per le aree: informatica (23,34%), amministrativa (14,45%), progettazione con lavori ed obiettivi (11,11%) assistenza (6,67%) e call center (6,67%). Le principali motivazioni che hanno spinto le aziende ad adottare il telelavoro sono: migliorare la qualità della vita per coloro che lo utilizzano (21,44%), perché adatto per i lavori con alta mobilità (15,32%), e per la riduzione dei tempi di trasferimento casa/lavoro (10,20%). Il telelavoro, però, non è una pratica aziendale utilizzata per il 20.45% dei rispondenti per diversi motivi: la mancanza del controllo sociale (17,53%), le difficoltà tecniche come la vulnerabilità della rete (8,25%), la costosa cablatura degli appartamenti (3,09%) o anche dagli accordi sindacali difficoltosi (8,25%).  Paolo Citterio, presidente nazionale Gidp/Hrda, commenta così i risultati ottenuti: "Rispetto agli anni passati il lavoro agile prende piano piano piede ed aumenta di concerto, lo fa preferire rispetto a quello "tradizionale" in ufficio da parte dei dipendenti e da parte dell'impresa, il risparmio sui rilevanti affitti milanesi e non solo, per gli uffici  che variano dai 150 euro in periferia, agli 800 euro al mq quadro all'anno in centro e si vede quanto si può risparmiare, la sicurezza nell'ambito familiare, la  vicinanza dei congiunti, il controllo della prole e della famiglia, il minor costo dei trasporti e del cibo per i dipendenti che lo avallano, invece lo contrasta il “controllo sociale” degli imprenditori (piccoli e medi) abituati a  valutare le persone in termini di presenza e non di obiettivi, alcuni costi mediamente pesanti per attivare inizialmente l'area informatica nell'abitazione del lavoratore ed  il sindacato che si oppone per la minor adesione sindacale delle persone coinvolte nel telelavoro. Si pensi poi al risparmio di tempo per raggiungere il lavoro (da 1 ora a tre ore in a/r da casa al lavoro e viceversa ed al risparmio, a volte per gli asili nido oggi pari a 500/800 euro al mese per i figli delle famiglie coinvolte nel normale lavoro aziendale, che si devono far supportare dalla struttura sociale o privata per custodire i figli delle impiegate od operaie".
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