venerdì 15 giugno 2018
Per Amazon, per esempio, gli avviamenti in media nel periodo 2016-17 hanno superato le 7mila unità, ma il turnover ha superato il 1.200%
Piattaforme digitali, ancora pochi gli occupati
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Alti ricavi, pochi occupati, pochissimi dipendenti a tempo indeterminato e altissimo turnover: nelle piattaforme digitali operanti in Italia - secondo uno studio - in linea con la tendenza mondiale, si è vista una forte crescita di ricavi e salari per addetto, andando in controtendenza rispetto ai settori nei quali operano mentre la dinamica occupazionale risulta di bassa intensità.

«Nel 2016 - scrive l'Inapp - in Italia Google e Facebook contavano rispettivamente 195 e 22 dipendenti; questo è in parte spiegabile con la natura tecnologica e organizzativa delle piattaforme, che fa sì che il loro fabbisogno occupazionale sia volto principalmente a profili tecnici e manageriali. Tra i big player l'eccezione la fa Amazon, la piattaforma con il maggior numero di occupati con 1.169 dipendenti nel 2016; questo dato si spiega con l'importante rete di raccolta e smistamento beni di Amazon Logistica e con una presenza massiccia di lavoro in somministrazione, caratterizzato da un turnover molto elevato».

Per Amazon gli avviamenti in media nel periodo 2016-17 hanno superato le 7mila unità, ma il turnover ha superato il 1.200%. Nelle piattaforme specializzate nella consegna dei pasti sono state considerate Deliveroo, Foodora e Just-Eat vedendo che c'è una bassa intensità occupazionale (tra i 45 e gli 80 dipendenti) con tre modelli organizzativi diversi; mentre Foodora, a fronte di un ridotto nucleo di dipendenti, sottoscrive contratti di collaborazione coordinata e continuativa con i rider, Deliveroo
utilizza contratti di collaborazione occasionale e rapporti di lavoro autonomo. Il modello Just-Eat prevede invece il coinvolgimento di un terzo soggetto chiamato esclusivamente a stipulare contratti di collaborazione con i rider.

«Le piattaforme - dice il presidente Inapp, Stefano Sacchi - anche quelle globali, occupano poco personale e pagano nel nostro Paese poche tasse rispetto ai ricavi. Quindi c'è un problema molto rilevante di distribuzione dei guadagni delle piattaforme digitali, che da un lato non si trasformano in occupazione e dall'altro non alimentano la capacità redistributiva dello Stato attraverso le imposte. Assieme al problema di come garantire adeguata protezione sociale ai lavoratori della gig economy, la questione fondamentale dei
prossimi anni è come redistribuire i guadagni di produttività e il valore aggiunto che vengono dal progresso tecnologico. L'alternativa è una società fortemente polarizzata, un modello insostenibile dal punto di vista della necessità di garantire sostegno politico diffuso alle democrazie liberali e incompatibile con la coesione sociale».

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