giovedì 19 dicembre 2019
La hanno detto i relatori del convegno organizzato dalla Fondazione Nenni di fronte alle sfide della precarietà del lavoro oggi imperante
Un momento del convegno

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Un intellettuale «vero», organico al Psi, ma esempio di come un tempo si potesse «fare politica in virtù della preparazione tecnica», come ha detto il giornalista Giovanni Floris ricordando Gino Giugni al convegno organizzato dalla Fondazione Pietro Nenni, apertosi stamattina al Centro di servizi per il volontariato (Ctv) di via Liberiana a Roma. Aprendo i lavori, il segretario generale della Fondazione, Carlo Fiordaliso, ha sottolineato come Giugni sia stato uno «scienziato che ha impresso una svolta alla storia del diritto del lavoro» e dichiarato come sia «motivo d'orgoglio per la Fondazione aver ricevuto dai figli dell'insigne giuslavorista l'enorme patrimonio di appunti e dossier lasciate da Giugni».

Nutrito il parterre dei partecipanti al convegno: dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, ai professori universitari che hanno legato la propria storia personale o orientato la propria ricerca all'insegnamento di Giugni. Andrea Ricciardi, professore di Storia contemporanea all'università degli Studi di Milano; Franco Liso, ordinario di Diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma; Paolo Borioni, professore di Storia delle Culture alla Sapienza; Roberto Voza, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza all'Università di Bari, dove lo stesso Giugni insegnò per diversi anni; Stefano Bellomo, professore di Diritto del Lavoro alla Sapienza; Roberto Romei, ordinario di Diritto del Lavoro a Roma Tre; Piero Curzio, presidente della sezione Lavoro della Corte di Cassazione; Ugo Intini, già deputato socialista e direttore dell'Avanti! negli anni Ottanta.

De Rita ha ricordato i lavori preparatori di un comitato istituito nel '65 a Palazzo Chigi dal vicepresidente del Consiglio, Pietro Nenni, che intendeva aprire la strada a una profonda riforma della legislazione del lavoro. «In realtà - ha spiegato De Rita - Nenni, così come Giugni, che guidò quel comitato ristretto, si era posto
l'obiettivo di codificare i diritti delle parti sociali, degli enti intermedi. Fu l'esplodere del '68, subito dopo la conclusione del nostro lavoro preparatorio, a convincere il ministro Brodolini a percorrere una strada radicalmente diversa: quella di una legislazione che tutelasse i diritti di ogni singolo lavoratore». «Anche Giugni - ha sottolineato De Rita - era convinto del primato delle dimensioni intermedie rispetto a quella di ogni singolo lavoratore. Forse quella di Brodolini fu una scelta obbligata e inevitabile, eppure ritengo che ne abbiamo pagato le conseguenze in seguito e ancor'oggi, che la disintermediazione in ogni campo ha profondamente modificato i rapporti politici e sociali».

Le inedite rivelazioni di De Rita hanno contrassegnato il dibattito durante il convegno della Fondazione Nenni su Gino Giugni "padre dello Statuto dei lavoratori". Intini ha ricordato come «fu una magistratura iperpolicizzata, vicina al Pci, a stravolgere il senso dello Statuto dei Lavoratori, orientandolo verso una tutela dei lavoratori spesso eccessiva, che ha contribuito a creare non poche rigidità nel mercato del lavoro degli anni successivi». Di fronte alle sfide della precarietà del lavoro oggi imperante, i relatori si sono detti convinti che solo una ripresa di una lezione e di un impianto vicine all'opera di Giugni possa aiutare a fronteggiare la tendenza in atto.

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