martedì 9 giugno 2020
Il punto sulle difficoltà attuali della radiofonia italiana. Molte emittenti hanno ridotto il personale, quelle commerciali più piccole rischiano anche la chiusura. Il nodo dei consumi elettrici
Le antenne sulla Torre Breda, in via Casati a Milano

Le antenne sulla Torre Breda, in via Casati a Milano - Foto Fabrizio Carnevalini

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Un'indagine sulle radio italiane, curata da Radio Reporter, fa il punto sulle difficoltà attuali della radiofonia italiana. È un grido di dolore e un appello accorato quello che si leva da 132 editori radiofonici interpellati sulle conseguenze della pandemia. In piena emergenza Covid-19, hanno potenziato l’informazione, promosso raccolte fondi e svolto un ruolo di coesione sociale. Ma gli aiuti del governo sono in ritardo: dopo la promessa (cancellata) di 40 milioni di euro in febbraio, ne sono stati stanziati 50 il 19 maggio nel “Decreto rilancio” (complessivi, però, per radio e tv).

L’operato del governo e le regole con le quali verranno distribuiti i fondi, però, viene approvato solo da un editore: due radio su tre (65%) chiedono ulteriori aiuti, immediati e a fondo perduto (40%). Il calo della pubblicità, del resto, è drammatico (-73%) e per far quadrare i conti sono stati necessari tagli dolorosi, congedando collaboratori e chiedendo la cassa integrazione per una parte del personale.

Per valutare l’impatto della crisi sono state poste domande precise su questi aspetti e chiesto se per ridurre immediatamente i costi aziendali avrebbe senso dimezzare le potenze dei trasmettitori: i consumi di energia assorbono il 45% delle risorse di un’emittente, quindi i risparmi sarebbero superiori a un quinto del bilancio. Una soluzione che oltre ad essere a costo zero per il governo, migliorerebbe la qualità dell’ascolto (riducendo le interferenze) e abbatterebbe l’inquinamento elettromagnetico.

Ha risposto all'indagine una radio su sei. I 132 editori del sondaggio rappresentano 101 emittenti commerciali, quasi una su sei (sono 624 per l’Agcom); di queste, 72 hanno una copertura locale, 22 regionale, cinque multiregionali e due nazionale. Ci sono poi 31 stazioni comunitarie delle 343 esistenti: va considerato, però, che molte non dipendono dalla pubblicità, come molte delle 184 di area cattolica associate al Corallo e quelle si autofinanziano, come le 33 radio evangeliche censite da FMLIST-FMSCAN (database mondiale della radiotv).

Il malessere è emerso da diversi editori: dubbiosi, sfiduciati, alcuni stanno valutando di chiudere. E dal Sud è arrivata una lettera che testimonia la drammaticità della situazione (la riproponiamo in fondo all’articolo).

Tagli drastici e movimenti nell’etere, del resto, già si intravedono: come interpretare la sospensione dei programmi della ligure Radio Babboleo News, che da fine maggio ripete rete principale? O l’acquisto da parte di m2o di tre canali della pugliese Radio Giulia? In Trentino Alto Adige, una delle persone interpellate ha detto di essere in trattative con un network per cedere l’intera rete e chiudere.

Gli editori hanno congedato, in media, un collaboratore su tre (-34%). I risparmi sui costi del personale si sono fatti sentire soprattutto nelle aziende più strutturate: superstation (-48%) e network (-85%), mentre per le comunitarie l’impatto è stato dimezzato (-16%). Analogamente, la cassa integrazione è stata richiesta per un lavoratore su tre (-31%), con punte del -47% per le radio a copertura regionale, e ancor più elevate per superstation (-48%) e nazionali (-50%). A risentirne meno sono state le comunitarie (-18%), anche perché vengono gestite con meno di un dipendente (0,72): si basano sui collaboratori (5 in media) e soprattutto sul volontariato (7 persone, tra quelle interpellate).

Un salasso, per tutte le radio ma soprattutto per le comunitarie, arriva dalle spese elettriche. Nel nostro paese si usano potenze di trasmissione troppo elevate. Perché allora non ridurre le potenze (dimezzandole si ha un calo di segnale di soli 3 dB), liberando risorse preziose in momenti come questi? L’idea, rilanciata in marzo da Lorenzo Belviso, editore delle emittenti pugliesi Radio Mi Piaci e Radio Popizz, consentirebbe risparmi superiori al 40%. Purtroppo la legge impedisce di ridurre la potenza (per alleggerire i costi, un editore ha detto di avere spento impianti minori dichiarando che sono in manutenzione o in avaria), ma in situazioni di emergenza, come quelle alle quali ci ha messo di fronte la pandemia, un dimezzamento generalizzato “da decreto” potrebbe fare comodo a molti. E a costi zero per lo stato.

Su come ridurre le potenze, il 64% degli editori interpellati sarebbe favorevole solo se la riduzione fosse obbligatoria per tutti, escludendo gli impianti di potenza fino a 100 Watt (52%) impiegati di solito per illuminare le zone d’ombra nelle aree montane. Riguardo alla durata delle misure, la maggioranza (43%) preferirebbe che fosse per sempre.

Le radio commerciali si sentono mancare il terreno sotto i piedi. Dalle circa 5000 esistenti quando fu varata la legge Mammì, nel 1990, ora sono meno di mille: 967, come ci ha comunicato l’Agcom. Avrebbero bisogno di aiuti immediati. Chiedono di ridiscutere le norme attuali (65%). Qualcuno suggerisce ricette semplici, come tagliare le tasse (6%) e la burocrazia (5%). Altrimenti l’alternativa è che gran parte delle voci si spengano. Per sempre.

La lettera​. Come muore una radio locale

Mentre curavamo la ricerca ci è arrivata una lettera, che rende l'idea delle difficoltà incontrate da una radio locale

Gentili Signori,
eravamo già in gravissime difficoltà da quando ci hanno tolto i, sia pur minimi, contributi ministeriali con la scusa di non avere alle nostre dipendenze un giornalista, oggi, dopo quel che è accaduto, non abbiamo più neanche un solo cliente ed abbiamo messo in vendita la nostra attività; per ogni giorno che restiamo in onda non facciamo altro che indebitarci sempre più e non crediamo che ci sarà modo di ripartire, il danno è troppo grande.

Siamo una emittente locale a carattere commerciale con due dipendenti part-time i quali non sono stati messi in cassa integrazione.
Tra i costi insostenibili ci sono quelli per l'energia elettrica, la manutenzione degli impianti di telecomunicazione, per non parlare dei diritti S.I.A.E. e i diritti connessi, adempimenti vari ed altro ancora.Una piccola radio locale non può essere gestita con gli stessi impegni di una grande radio, è pura follia.

Nelle ultime due settimane abbiamo contattato oltre 500 aziende proponendo loro un contratto pubblicitario a meno di 30 € al mese, sapete quante aziende hanno aderito? Nemmeno una.

Per quanto ci riguarda dobbiamo solo trovare il coraggio di staccare la spina.
Potete utilizzare queste note purché in forma anonima.
Cordiali saluti.
(lettera firmata)

Per approfondire si può leggere il testo integrale su Radio Reporter: CLICCA QUI

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