sabato 2 agosto 2014

L'80% dei ragazzi tra i 19 e i 30 anni l'accetterebbe. "L'operaio meglio del call center"

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Il lavoro manuale? Per i giovani non ha più una connotazione negativa. Anzi, l’80% sarebbe disposto ad accettarlo, purché discretamente retribuito e con una certa dose di creatività. Colpa della crisi economica che porta a riconsiderare anche occupazioni che una volta si sarebbero rifiutate sdegnosamente? Certamente, visto che i ragazzi trovano spazi sempre più limitati e angusti nel mercato del lavoro. Ma non è solo questo. Per i giovani, infatti, ciò che preme sembra essere soprattutto sfuggire ad un destino di precarietà e di ripetitività, rispetto al quale anche il "vecchio" lavoro operaio o artigiano torna ad esercitare un certo fascino. L’importante è poter esprimere qualcosa di proprio nel lavoro e ricavarne una valorizzazione personale.Il mutamento nel pensiero di chi oggi ha tra 19 e 30 anni è descritto in una nuova ricerca del "Rapporto giovani", l’indagine periodica curata dall’Istituto Toniolo in collaborazione con Ipsos e il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, condotta su un campione di 1.727 ragazzi. Il primo dato che balza agli occhi è l’insoddisfazione. Meno del 10% delle donne e circa il 15% degli uomini considera infatti di disporre di occasioni di impiego «buone e adeguate». Per la grande maggioranza, invece, le opportunità lavorative sono «scarse» (55%) o «limitate» (33%). Per questo oltre l’80% degli intervistati è pronto a svolgere un lavoro di tipo manuale e 3 su 4 vedrebbero bene un’attività in cui potere esprimere la propria creatività. Secondo i giovani intervistati, la situazione negativa non è solo il portato della crisi economica. Per quasi il 30%, infatti, il problema principale sono i limiti strutturali del mercato che dà poche occasioni, bassa qualità e contratti brevi e precari.I giovani interpellati riscoprono quindi il lavoro manuale, ma a certe condizioni: che la remunerazione sia adeguata, che siano garantite creatività e flessibilità d’orario. Interessante notare, soprattutto, come siano mal percepite alcune occupazioni fra le più comuni oggi per i giovani, evidentemente considerate di bassa qualità. Pochissimi consiglierebbero infatti ad un amico di fare il telefonista di call center (3,5%), l’operatore di fast food (4,2%), o il distributore di volantini (1,6%). Al limite, a parità di stipendio, meglio l’operatore ecologico che lavori di questo tipo (4,6% contro 4,2% donne). Piuttosto che occupazioni manuali di basso livello nel settore dei servizi, ci sono invece il lavoro operaio (6,9%) o quello agricolo (7,7%). Tra i lavori di profilo medio-basso la preferenza dei maschi va comunque all’impiego in fabbrica come tecnico specializzato (27,1%), mentre per le donne prevale l’attività di commessa/cassiera (31,6%). «Queste cifre confermano che alcuni stereotipi sul rapporto tra giovani e lavoro siano superati – commenta Alessandro Rosina, demografo della Cattolica di Milano e uno dei curatori della ricerca –. Quello che le nuove generazioni disdegnano non è di per sé il lavoro manuale, che può essere stimolante e appagante, ma lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione. Ciò che temono sono offerte di impiego che intrappolano in condizione di precarietà, in cui impegno e competenze non vengono riconosciute».Il titolo di studio resta infatti un elemento di rilievo, ma per la grande maggioranza degli intervistati ci sono 4 fattori ancora più importanti: l’impegno, le competenze, le capacità relazionali e la disponibilità. Così pure le aspettative di remunerazione. L’obiettivo che si danno per la soglia dei 35 anni è di un guadagno attorno ai 1.500 euro mensili. Solo una minoranza pensa un po’ più in grande: 2.000 euro o più. In cambio offrono flessibilità e adattabilità. La generazione dei millennials, insomma, sembra sognare la sicurezza di un lavoro fatto con le proprie mani.
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