mercoledì 23 marzo 2011
Una indagine dell’Isfol evidenzia, oltre alle difficoltà per le nuove generazioni, i motivi per i quali rifiutano l’offerta di un posto. I laureati cercano un’occupazione adeguata alla loro preparazione, i diplomati non accettano basse retribuzioni. Il nodo mobilità
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La crisi economica ha colpito duramente in particolare i giovani. Collaboratori e contrattisti a termine, meno tutelati, hanno perso il lavoro più facilmente. Mentre neolaureati e neodiplomati hanno faticato ancor più di chi li ha preceduti negli scorsi anni a trovare una prima occupazione. Lo confermano molti dati. Dalla disoccupazione nella fascia 18-24 anni che l’Istat colloca ormai al 29,8% – in costante aumento a fronte di un tasso generale più o meno stabile all’8,6% – fino all’ultima rilevazione del consorzio Almalaurea sui laureati 2009. Il 16% di loro, infatti, è ancora disoccupato a un anno dalla laurea (erano il 10% quelli del 2007) e in tre anni si sono persi dai 6 agli 8 punti di tasso di occupazione a seconda del ciclo di studi.C’è però anche l’altra faccia della medaglia, quella dei posti che non vengono coperti – oltre un quarto di quelli richiesti dalle imprese artigiane, secondo uno studio della Confartigianato – e soprattutto dei giovani che rifiutano le offerte di lavoro. Uno studio approfondito dell’Isfol – «I Millenials e il lavoro. Prospettive e criticità delle nuove generazioni» curato da Monya Ferritti e pubblicato nel primo numero della rivista Osservatorio Isfol– indaga tra l’altro proprio questo aspetto. Con risultati significativi. Tra i giovani (18-29 anni) il 41,5% si dichiara disponibile per qualsiasi tipo di lavoro, ma con nette differenze a seconda del titolo di studio posseduto. La percentuale sale, infatti, fra chi ha un titolo di studio basso (50,6%) mentre è piuttosto bassa per i laureati: solo il 18,1%. Se però l’offerta fosse «soddisfacente», la disponibilità di questi ultimi risalirebbe al 78,4%. Confrontando con l’intera popolazione in età da lavoro (18-64 anni) è più alta la propensione ad accettare subito un lavoro (54,9% contro 50,2%), minore invece quella ad accontentarsi di un lavoro pur che sia (41,5% contro 44,4%). «Le motivazioni – nota la ricercatrice Isfol – sono diverse: da una parte il carico familiare dei giovani, nullo o molto limitato, permette di restare in attesa del lavoro più adatto alle proprie aspettative; dall’altra si osserva nei giovani un minore spirito di sacrificio rispetto ai loro genitori. Infine, l’attenzione sulla crescita personale porta i giovani ad ambire a un lavoro che generi sicurezza e offra autorealizzazione e gratificazione personale».Ancora più interessanti sono i dati empirici della rilevazione. Nei trenta giorni precedenti le interviste (effettuate con l’indagine Isfol-Plus 2008 ma secondo i ricercatori valide ancora oggi), infatti, il 20,7% dei giovani ha ricevuto un’offerta di lavoro, 7 punti percentuali in più rispetto al resto della popolazione (13,7%). La percentuale si incrementa notevolmente nel caso dei laureati (33,7%) e si riduce drasticamente al 14,8% per chi ha solo la licenza media. Nel 44,8% dei casi verrà accettata, dunque quasi 6 giovani su 10 hanno rifiutato. Le motivazioni per le quali i giovani hanno preferito non accettare sono diverse. Se infatti per i giovani laureati è importante svolgere un lavoro il cui livello di inquadramento proposto non sia inferiore alle aspettative (26,4%) e difficilmente ricevono un’offerta di lavoro irregolare (solo l’1,7%), per chi ha un titolo di studio inferiore è la retribuzione a essere un fattore determinante: nel 33,2% dei casi dei diplomati, infatti, l’offerta di lavoro non è stata accettata a causa della retribuzione non adeguata alle richieste. Il livello di stipendio è importante soprattutto per le ragazze (30,1% a fronte del 23,7% dei ragazzi), «probabilmente perché le donne giovani decidono di entrare nel mercato del lavoro solo se le condizioni di ingresso permettono loro di affrancarsi dalla dipendenza economica della famiglia di origine», si sottolinea nella ricerca. Le donne, inoltre, preferiscono avere anche un lavoro che possa garantire loro un maggiore tempo extra-lavoro e, dunque, le offerte che richiedono un eccesso di disponibilità in termini di tempo sono rifiutate dal 16% delle ragazze fra i 18 e i 29 anni. Infine, giovani disoccupati del Nord hanno rifiutato un’offerta di lavoro soprattutto perché la tipologia di contratto non era conforme alle loro aspettative (30,6%), mentre al Sud questa soglia scende all’11,1%.Solo per il 3,9% dei ragazzi del Nord, inoltre, l’eventuale trasferimento ha costituito un fattore ostativo, contro quasi il 9,7% dei giovani meridionali. «Presumibilmente», si nota nella ricerca, «per la possibilità, maggiore al Sud, di eseguire lavoretti saltuari o irregolari che permettono ai giovani meridionali di continuare a vivere nei luoghi in cui sono nati procrastinando la scelta di partire». Ma proprio guardando alla propensione alla mobilità si ricavano dalla ricerca altre suggestioni interessanti. La classe di età più coinvolta nel fenomeno migratorio è, infatti, quella compresa fra i 25 e i 34 anni, ossia l’età di transizione, per i laureati, dalla formazione al mondo del lavoro. Una percentuale contenuta di giovani, fra i 18 e i 29 anni (29,1%), in cerca di occupazione non accetterebbe alcuna proposta lavorativa che prevedesse il trasferimento anche di breve raggio, a fronte del 42,1% degli individui fra i 18 e i 64 anni. Quasi il 50% dei giovani, invece, dichiara una disponibilità a trasferimenti nella propria provincia o regione (rispettivamente 14,7% e 10,2%) o anche nel resto del territorio nazionale (24,4%). Elevata, infine, la percentuale dei giovani che è disponibile a trasferirsi all’estero (21,6%). Le persone tra i 25 e i 64 anni, invece, hanno una minore propensione al trasferimento, specialmente se sono donne, con un basso titolo di studio e vivono in una regione del Centro-Nord. Al contrario, gli uomini delle regioni del Centro-Sud, con un titolo di studio elevato, sono gli individui che maggiormente si dichiarano disponibili anche al trasferimento all’estero. In generale le donne, e le persone a bassa qualifica, sono più resistenti alla mobilità geografica
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