sabato 27 maggio 2017
A Taormina i 7 grandi divisi su tutto. Dal commercio internazionale all'ambiente. E anche sull'immigrazione si procede in ordine sparso.
G7, un elenco di buoni propositi. Niente di più
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Confezionate come si conviene, le parole dicono tutto e nulla. Comprese quelle esalate dal G7 di Taormina, che come un velo di zucchero filato coprono amorevolmente il quasi nulla di fatto che i Sette grandi sono riusciti ad allestire. Raramente i signori del mondo si sono mostrati così divisi su tutto.

Sul commercio internazionale, con Donald Trump che rimbrotta Angela Merkel sulla strapotenza germanica e i suoi surplus; sull’ambiente, con la Francia che rincorre l’utopia di un assenso americano sul clima mentre la nostra memoria corre perfida a un G8 di Birmingham del 1998, officiante Bill Clinton, e a un altro a Heiligendamm del 2007, questa volta con George W.Bush, in entrambi dei quali gli americani fecero strame degli accordi pre e post Kyoto; sull’immigrazione, capitolo amaro con scarni risultati, vuoi per la sordità e l’egoismo dell’Unione Europea, vuoi per l’analoga orticaria che il solo nominare la parola “profughi” provoca nel presidente americano, per il quale migrante e terrorista sembrano essere la stessa cosa.

Ma soprattutto divisi i Sette grandi lo sono sul commercio mondiale. Alla rovescia, però: Donald Trump e Theresa May – tardi epigoni di due grandi leader come Ronald Reagan e Margaret Thatcher che trent’anni fa incoraggiavano e promuovevano la globalizzazione e di cui i due oggi appaiono sbiadite caricature – oggi sono campioni di un nazionalismo furibondo, appena mascherato dietro la locuzione “lotta al protezionismo” che a fatica hanno accettato di inserire nel documento finale, laddove è l’Europa, oggi, ad apparire liberale, liberista e molto vicina al campione mondiale della globalizzazione, la Cina.

Appeso a due dei pilastri ideologici dell’America che fu - la Dottrina Monroe e il Destino Manifesto – Trump guarda a muso duro quel Vecchio Mondo che nessuno degli inquilini della Casa Bianca ha mai davvero cercato di capire fino in fondo. Al punto da annullare la conferenza stampa finale lasciando il compito ai suoi pretoriani, così come l’ha annullata la Merkel.

«The Germans are bad, really bad», dice il presidente americano, dimenticando che è semmai l’America arroccata su se stessa e poco competitiva a permettere alla Germania di sfondare sui mercati. Solo sul terrorismo c’è stata una facile convergenza fra i leader: un fitto catalogo di buoni propositi che stilare, in fondo, non costa assolutamente nulla. Tutti uniti, insomma, sotto il sole del bel borgo amato da D.H.Lawrence, Truman Capote, Jean Cocteau e Tennessee Williams, ma in ordine sparso. Di più, davvero, non si può.



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