sabato 27 maggio 2017
I nostri giudizi alla conclusione del summit di Taormina
Le pagelle dei leader
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Ecco le pagelle di Avvenire ai sette leader presenti al G7 di Taormina

Paolo Gentiloni


Ruolo tutt’altro che invidiabile, il suo. Da debuttante, si è trovato a gestire il G7 «più difficile degli ultimi anni» (copyright Donald Tusk). Con lena infaticabile e quella dote della semplicità un po’ aristocratica che gli è propria, si è speso da mediatore cercando di tamponare e di evitare gli strappi più dolorosi fra 7 leader che, per la maggior parte, non si conoscevano affatto. In fondo ci è riuscito. Non gli sarebbe dispiaciuto portare a casa risultati più eclatanti, che non ha ottenuto. Ma non poteva dipendere solo da lui. Dove il successo è stato pieno è sul piano dell’organizzazione. E non è poco.

Donald Trump


Volenti o nolenti, è stato "il mattatore" del G7. Come nel ruolo cinematografico reso celebre da Gassman, ha segnato ogni momento del vertice. Con le sue parole (poche), così come con i suoi ritardi. In questo ha rispettato il copione di personaggio capace di ribaltare ogni situazione. In fondo, questo summit è legato a una "coda" che ne condizionerà l’esito, annunciato da "The Donald" con un tweet: solo se deciderà fra una settimana di rispettare l’intesa di Parigi sul clima, si potrà parlare di un successo. Allo stesso modo, Melania è stata la (scontata) protagonista al femminile di Taormina.

Angela Merkel


Ne ha viste tante nei suoi 12 anni di cancellierato (e quindi di G7) da non andare in crisi per qualche difficoltà più o meno inattesa. Con la sapienza da vecchia leader ha "ruminato" le difficoltà emerse, non esasperando gli eccessi di Trump sui «tedeschi cattivi» e ribadendo con fermezza le attese della Germania (vedi sull’ambiente). Memore dei problemi avuti in patria, non ha avuto il coraggio di esporsi più di tanto sui migranti. Per evitare "incidenti" ha deciso di non tenere la conferenza stampa finale. Anche perché in mente ha già il suo obiettivo: il G20 di luglio, che gestirà lei ad Amburgo.

Emmanuel Macron


Non dev’essere facile affrontare un G7 a 39 anni. Emmanuel Macron l’ha fatto col piglio giusto, lo stesso che gli ha appena consentito di vincere le elezioni francesi. Si è fatto trovarre preparato, e anche il leader più a suo agio nei rari bagni di folla. Con fermezza non ha ceduto sulla linea di difesa dell’ambiente e ha rivendicato, sul piano dei commerci, l’esigenza di mantenere accordi multilaterali ma in uno spirito riveduto e corretto, per combattere gli eccessi del dumping. Era la sua prima uscita internazionale. Per ora ha mantenuto le promesse. Lo si attende alla prova delle ancor più complesse vertenze Ue.

Theresa May


La premier della Brexit si è presentata a Taormina con l’angoscia della strage di Manchester di lunedì. Unica leader non accompagnata (il marito è rimasto a casa), ha finito col limitare anche la sua presenza al solo venerdì, proprio a causa degli impegni in patria. E soprattutto al rinnovato impegno anti-terrorismo dei Sette Grandi e alla lotta allo jihadismo ha legato questo suo primo G7. Per il resto ha fatto sponda con Trump nel far capire che serve un’"aggiustata" alle pratiche commerciali. C’era un tempo in cui il Regno Unito pesava di più. Ora non è un momento facile, sotto vari aspetti. Da rivedere.

Shinzō Abe


Il primo ad arrivare, giovedì pomeriggio, il premier giapponese è stato anche il più "impalpabile". Non è dato sapere se in omaggio alla tradizione di silenziosa operosità del suo popolo o perché ancora intento a valutare le conseguenze della "ferita" prodotta dalla recente cancellazione, decisa da Trump, del trattato commerciale transpacifico Tpp, che lo chiama a cercare di consolidare su altri versanti l’alleanza con gli Stati Uniti, ritenuta da Abe sempre il fondamento della politica estera del Giappone. Per questo ha esaltato in particolare il «messaggio chiarissimo» mandato alla Corea del Nord sulla questione nucleare. Cerca nuove certezze. Da capire.

Justin Trudeau


Ha fatto parlare di sé più che altro sul piano formale, per essere il leader peggio vestito, ma anche quello di maggior presa sul pubblico femminile. "Doti" già note. È venuto anche a studiare, passando ora la presidenza del G7 al Canada che lo ospiterà nel Quebec nel 2018. Sul piano sostanziale ha colpito il suo feeling col presidente francese Macron, anche per una certa vicinanza generazionale (ha 47 anni). Indicato come uno dei "campioni" dell’accoglienza ai migranti, ha convenuto che non esistono però «soluzioni facili». Al pari di Macron, in lui sono riposte delle attese. Deve mostrare forse più personalità.





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