mercoledì 23 febbraio 2011
Accordi firmati in 458 imprese di servizio e 597 industrie. Ma le aziende preferiscono ancora ricorrere alla cassa «meno rigida e impegnativa sul piano dell’organizzazione».
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Solidarietà contro la crisi. Cresce il ricorso al contratto di solidarietà, lo strumento che consente di spalmare gli effetti di una situazione di difficoltà su tutti i soggetti coinvolti – azienda, lavoratori, istituzioni pubbliche (in questo caso l’Inps) – senza causare la perdita di posti di lavoro (il principio è "lavorare meno, lavorare tutti"). Ma fa ancora molta fatica ad imporsi come "prassi". Le imprese continuano, infatti, a preferire gli ammortizzatori sociali più consolidati, a cominciare dalla cassa integrazione.«Nel 2010 – osserva il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra – il ricorso alla cassa integrazione è stato notevolissimo. Nel complesso sono state autorizzate 1 miliardo e 200 milioni di ore, anche se quelle effettivamente utilizzate si sono attestate intorno al 47%. In particolare, l’anno scorso è esplosa la cassa in deroga, per le piccole aziende. Noi ci siamo impegnati intensamente sul territorio per stipulare più contratti di solidarietà possibili. Le centinaia di intese sottoscritte hanno consentito a molte imprese di resistere, mantenendo quote di produzione, e ai lavoratori di scongiurare il rischio del licenziamento restando agganciati al ciclo produttivo». Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico il ricorso ai contratti di solidarietà risulta in crescita. Per quanto riguarda l’industria siamo passati dalle 41 aziende coinvolte (per 3.373 addetti) nel 2005 alle 597 (per 28.760 addetti) del 2010. Dal 2009 al 2010 l’incremento è stato pari a +425. Numeri modesti, se raffrontati a quelli della cassa integrazione o delle procedure di mobilità, tuttavia interessanti.Ma da dove viene la resistenza delle imprese ad utilizzare questo strumento? «Il vero motivo – spiega il direttore generale di Confapi, Stefano Valvason – è di natura organizzativa e deriva dalla difficoltà delle aziende a riorganizzare la produzione nei reparti con un taglio di tipo orizzontale come quello richiesto dai contratti di solidarietà. Nelle realtà più piccole i ruoli sono difficilmente intercambiabili: spalmare su più persone una riduzione di orario, ad esempio del 25%, crea problemi. Altra cosa è ricorrere alla cassa integrazione, che è uno strumento più elastico perché consente all’imprenditore di intervenire sui profili meno decisivi o sui reparti meno utilizzati in quel momento: lo stampaggio non tira? Allora faccio la cassa sui dipendenti dello stampaggio».Tornando alle statistiche, un trend di crescita simile a quello dell’industria è stato registrato nel comparto dei servizi: ancora i dati ministeriali dicono che dalle 118 aziende che hanno sottoscritto un contratto di solidarietà nel 2005 (per 509 addetti) siamo saliti alle 458 (per 8.217) del 2010. Anche in questo caso si rileva un salto in avanti  (+146 imprese e +6.054 lavoratori) tra 2009 e 2010. Segno che l’inasprirsi della crisi ha indotto sindacati (soprattutto) e imprese a cercare vie alternative per affrontarla.Di problemi organizzativi, però, parla anche il mondo accademico. «Nonostante queste indicazioni positive – nota il sociologo economico Marco Carcano – il contratto di solidarietà resta di gran lunga meno utilizzato rispetto agli altri ammortizzatori sociali. Di fatto si tratta di una manovra sull’orario. Lavorare sugli orari significa rivedere l’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi e questo è un costo. Ogni innovazione organizzativa genera costi e ciò spiega l’atteggiamento un po’ negativo delle imprese. La cassa integrazione è uno strumento più semplice: è come un interruttore della luce, che si accende e si spegne a secondo delle necessità. Il contratto di solidarietà è, invece, come una torcia che resta sempre accesa per vedere cosa c’è intorno. Le aziende poi si dividono in due tipi: quelle che guardano alle cose urgenti e quelle che considerano ciò che è importante, quelle che hanno una strategia di breve periodo e quelle che guardano più lontano. Mantenere in organico un lavoratore in un periodo di bassa – aggiunge il professor Carcano – non è urgente, ma importante. Nelle realtà più piccole, che hanno minori capacità di investimento, di accedere al credito e di gestire il rischio, prevale l’istinto dell’urgente. Non a caso è esplosa la cassa in deroga».Tra i sindacati è in particolare la Cisl a spingere per la stipula dei contratti di solidarietà (la Cgil non li ama, ma non li ha bloccati: quasi tutti gli accordi fin qui realizzati sono stati siglati unitariamente). «Come Cisl – evidenzia Sbarra – in questi anni ci siamo spesi con il governo per fare in modo che l’integrazione al reddito per i periodi non lavorati passasse dal 60% all’80%. Ciò per evitare che le riduzioni d’orario determinassero pesanti contrazioni sulle retribuzioni. Secondo noi il contratto di solidarietà, legato ad altre misure di politica attiva per il lavoro come la formazione, resta uno strumento importante in fase di crisi perché tutela l’occupazione, mantenendo i lavoratori dentro il perimetro aziendale, e consente alle imprese di conservare le professionalità e le competenze, rendendo così più facile agganciare la ripresa e rilanciare l’attività produttiva».Secondo alcuni osservatori i contratti di solidarietà scontano anche un deficit di conoscenza. Un’analisi, questa, che però non convince il mondo imprenditoriale. «Non credo che il nodo sia questo – sottolinea Valvason –. Per i nostri associati abbiamo organizzato diversi incontri informativi sul tema. Oltre alle questioni organizzative, ci sono invece difficoltà legate alla rigidità dello strumento. In presenza di un contratto di solidarietà l’impresa non può attivare altre misure o licenziare e questa è un’ipoteca pesante sulle sue scelte. Quanto alla conservazione del patrimonio professionale, con la cassa ordinaria e in deroga il problema non si pone perché il lavoratore può essere richiamato in ogni momento. Anzi, accompagnando i periodi di cassa alla formazione, siamo riusciti a qualificare molte persone che sono state ricollocate anche con ruoli e in ambiti diversi rispetto a prima».CONFERMATA PER IL 2011 L’INTEGRAZIONE SALARIALE ALL’80%I contratti di solidarietà sono stati introdotti in Italia con la legge n. 863 del 19 dicembre 1984 e sue successive modificazioni (legge 236/93 e legge 608/96). La norma prevede due tipi di contratti di solidarietà: "difensivi" ed "espansivi". Nel primo caso la riduzione dell’orario di lavoro è finalizzata a evitare la perdita di posti di lavoro, nel secondo a incrementare l’occupazione. Per attenuare i sacrifici a carico di lavoratori e imprese interviene lo Stato con contributi economici e sgravi fiscali. Nei contratti "difensivi" l’integrazione salariale è oggi pari all’80% (fino al 2008 era il 60%, l’aumento è stato confermato anche per il 2011 dalla legge di stabilità) dello stipendio perso per gli addetti di imprese rientranti nella disciplina della cassa integrazione straordinaria e del 25% per i dipendenti di aziende che, invece, non ne possono usufruire. Per attivare un contratto di solidarietà è necessario un accordo formale tra le parti sociali.
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