sabato 4 aprile 2020
Per il segretario della Federazione dei sindacati europei la tutela del reddito dei lavoratori può essere operativa dal Primo maggio."E deve coprire tutti. Serve il massimo di solidarietà"
Luca Visentini, segretario generale Ces

Luca Visentini, segretario generale Ces - Ansa

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«Bene il piano della Commissione Ue per la tutela dei lavoratori. Se l’Eurogruppo l’approva settimana prossima, noi siamo pronti a scattare con la Dg Lavoro per mettere a punto il meccanismo e renderlo concretamente operativo nei diversi Paesi entro il Primo maggio, per la festa del lavoro». Luca Visentini, proveniente dalla Uil dal 2015 è alla guida della Ces, la Confederazione europea dei sindacati. Non nasconde le fortissime preoccupazioni per la tenuta del nostro sistema economico. Ma insieme è fiducioso che l’Unione Europea abbia compreso la posta in gioco: non solo quella economica, ma la sopravvivenza stessa del progetto comunitario e della democrazia nel Continente.

Segretario, l’Organizzazione internazionale del lavoro stima che l’emergenza coronavirus provocherà la perdita di 25 milioni di posti di lavoro nel mondo. Voi in Europa che previsioni fate?
Le stiamo ancora elaborando, ma i primi dati ci dicono che già tra i 3 e i 5 milioni di lavoratori hanno perso il posto in Europa. E che altrettanti non sono al lavoro e stanno ricevendo sussidi vari. Questa crisi ha una potenzialità negativa assai peggiore di quella finanziaria 2007-2013. Perché rischia non solo di creare milioni di disoccupati nei 27 Paesi, ma di desertificare il sistema industriale.

La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, ha annunciato la creazione di una sorta di Cassa integrazione europea, finanziata attraverso un prestito comunitario. È una risposta adeguata?
È la via giusta. Non si tratta della proposta avanzata due anni fa dall’ex ministro Pier Carlo Padoan di assicurazione europea contro la disoccupazione. Ora si è scelto giustamente la via di un fondo che possa finanziare gli Stati nazionali perché diano copertura salariale ai lavoratori. A tutti i lavoratori: dipendenti, autonomi, di grandi e piccole imprese, precari, collaboratori. Davvero tutti. Arrivo a dire che dobbiamo occuparci anche dei lavoratori in nero e degli immigrati irregolari.

Bastano 100 miliardi di euro? E lo strumento del prestito è quello giusto?
Ritengo sia un fondo consistente. E lo strumento mi sembra efficace: un prestito, con garanzie formali, praticamente a tasso zero, che gli Stati potranno restituire in un tempo assai lungo, senza che incida sulle regole dei parametri di bilancio. Soprattutto, è un modo per cominciare a fare gli Eurobond senza dirlo...

Su questo, però, ci sono forti divisioni in Europa, con Paesi come Germania, Olanda e Finlandia decisamente contrari.
Vero, colgo però un graduale cambiamento delle posizioni, a mano a mano che cresce la consapevolezza dei grandi rischi che si corrono. Non solo di ritrovarsi con milioni di persone senza lavoro, in povertà, quanto soprattutto quello di assistere impotenti a un’ecatombe di imprese. Lo dico da sindacalista: occorre assicurare flussi consistenti di liquidità verso le aziende piccole e grandi, immaginare finanziamenti e prestiti super-agevolati alle industrie. Perché ricostruire da zero un tessuto economico raso al suolo dalla crisi sarebbe difficilissimo, quasi impossibile. E per evitarlo, la Ue deve mettere in campo non solo i 750 miliardi di QE ipotizzati, non solo i finanziamenti della Bei, ma varare piani straordinari reperendo capitali con i Coronabond o come vorranno chiamarli.

Anche perché le chiusure e i nazionalismi rischiano di far saltare l’Unione Europea…
Peggio. Perché se la Ue non dimostrerà responsabilità, solidarietà ed efficacia nell’azione di contrasto alla crisi, a farla implodere non saranno i nazionalismi, ma il crollo della fiducia dei cittadini nel progetto stesso di Europa unita. E i nazionalismi risorgenti, i rischi che già vediamo per la democrazia nel Continente, saranno la conseguenza di questa enorme disillusione.

Anche i sindacati sono divisi tra Nord e Sud Europa?
No. Le divisioni che in tempi normali ci sono un po’ su tutto – dalla contrattazione ai sistemi di welfare – oggi non si vedono. Anzi, negli ultimi giorni è stata anche la pressione delle confederazioni tedesche e finlandesi sui rispettivi governi a far sì che si determinasse la svolta sul fondo di tutela del reddito dei lavoratori.


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