lunedì 14 novembre 2016
Il trattamento economico spettante al dipendente pubblico divenuto inabile per patologie derivanti da causa di servizio si può parzialmente cumulare al reddito da lavoro
Cumulabili "Pensione di privilegio" e salario
COMMENTA E CONDIVIDI

È legittima la parziale cumulabilità della pensione di privilegio con i redditi da lavoro. Non produce disparità di trattamento rispetto alla pensione d’anzianità, la quale invece gode della piena cumulabilità. A stabilirlo è la Corte costituzionale nella sentenza n. 241 emessa lo scorso venerdì, 11 novembre 2016.

Si chiama “pensione di privilegio” il trattamento economico spettante al dipendente pubblico (“solo” pubblici, ne sono esclusi i dipendenti privati) divenuto inabile per patologie derivanti da causa di servizio. Sussiste “causa di servizio” quando il danno fisico subìto dal lavoratore o la malattia contratta dipenda da cause (appunto) o condizioni insite nel tipo di lavoro prestato. Non è previsto alcun requisito contributivo per il diritto alla pensione di privilegio; la concessione, quindi, avviene indipendentemente dagli anni di servizio per durare tutta la vita del lavoratore (prestazione vitalizia). La riforma Fornero delle pensioni (decreto legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011) ha limitato fortemente il campo di applicazione della pensione di privilegio. In particolare, l’ha abrogata, a partire dal 6 dicembre 2011 (data di entrata in vigore della stessa riforma), per tutto il personale pubblico, fatta eccezione per quello appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico.

La questione di legittimità della pensione di privilegio rispetto all’art. 3 della Costituzione è stata posta dalla Regione Marche. La norma presuntivamente in conflitto è l’art. 72, comma 2, della legge n. 388/2000 (Finanziaria 2001). Tale norma, a decorrere dal 1° gennaio 2001, ha stabilito che le quote delle pensioni d’invalidità, degli assegni diretti d’invalidità nonché delle pensioni di privilegio sono cumulabili con i redditi da lavoro autonomo nella misura del 70%. Secondo la Regione questo regime di parziale cumulabilità è “foriero di un’arbitraria disparità di trattamento ed è pregiudizievole per il titolare di una pensione privilegiata ordinaria, che vanti i medesimi requisiti di anzianità di un pensione che percepisca la pensione di anzianità”, la quale invece è pienamente cumulabile con i redditi da lavoro autonomo (ciò a partire dall’anno 2008).

Per la Corte costituzionale la questione di legittimità non sussiste. Premesso che la disciplina al vaglio di costituzionalità s’inscrive in un contesto normativo assai mutevole, i Giudici fanno notare che la regolamentazione del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro interferisce con molteplici valori di rango costituzionale: diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione), diritto a prestazioni previdenziali proporzionate all’effettivo stato di bisogno (art. 38, comma 2, della Costituzione.), solidarietà tra le diverse generazioni che interagiscono nel mercato del lavoro (art. 2 della Costituzione). Tutto ciò in una prospettiva volta a garantirne un equo ed effettivo accesso alle opportunità di occupazione che si presentano. In questo contesto, spiega la Corte, spetta alla discrezionalità del Legislatore bilanciare i diversi valori, nonché di modulare la concreta disciplina del cumulo “in armonia coi princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza”. E per quanto riguarda la pensione di privilegio, conclude la sentenza, il Legislatore ha osservato tali principi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: