giovedì 22 dicembre 2022
Trasformazione digitale, gestione del cambiamento e leadership condivisa tra le dieci aree illustrate da Filippo Poletti in un libro. Mentre il giuslavorista Francesco Rotondi propone otto punti
In Italia il fenomeno dei Neet è in aumento

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Strategia dell’innovazione, crescita esponenziale, trasformazione digitale, marketing omnicanale, gestione del cambiamento e leadership condivisa. Senza trascurare la macroeconomia, l’economia industriale, la finanza d’impresa e la gestione operativa. Sono le dieci aree di competenza richieste ai professionisti che vogliano innovare il lavoro nel 2023: nell’era della collaborazione tra uomo e macchina ai professionisti serve una nuova cassetta degli attrezzi che veda protagoniste le abilità “dure” e le competenze soffici, altrimenti dette “di vita”. Ne parla il giornalista e influencer di LinkedIn Filippo Poletti nel libro Mba Power: innovare alla ricerca del proprio purpose: all’interno 101 storie di professionisti che tra il 2020 e il 2022, in piena pandemia, si sono rigenerati a Milano, tornando sui banchi di scuola. «Gli innovatori sono chiamati a individuare la direzione da intraprendere – spiega Poletti –. Devono sapere come creare valore per la sua azienda, il mercato e il resto della società. Per questo è necessario che acquisiscano una mentalità aperta alla progettazione e alla realizzazione di nuovi servizi e prodotti che mettano al centro l’esperienza degli utenti». In quest’ottica, dunque, è necessario che apprendano come fare innovazione, focalizzandosi sulle tecnologie esponenziali come l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata, le piattaforme digitali e il marketing basato sull’utilizzo di tutti i canali di comunicazione. «La capacità di innovare deve affondare le sue radici sulla conoscenza approfondita del mercato monetario e delle merci, delle economie di scala oltre che di gamma, così come sulla gestione delle attività aziendali e gli strumenti finanziari finalizzati allo sviluppo del business», aggiunge Poletti. Accanto alle competenze “dure” gli innovatori devono possedere le “abilità della vita”: «Il leader innovatore sa motivare le persone, sviluppando l’“intelligenza emotiva” e utilizzando costantemente i rinforzi positivi per apprezzare i risultati ottenuti dai collaboratori. Prima ancora di stimolare la competizione virtuosa all’interno dell’impresa, l’innovatore deve saper promuovere la collaborazione, adottando un approccio inclusivo e sostituendo alla cultura del “dito puntato” quella dell’errore come occasione di crescita», nota Poletti. Per realizzare tutto ciò, la leadership tradizionale basata sul rapporto tra “leader” e “follower” deve essere superata da quella condivisa, dove tutte le risorse presenti in azienda sono messe nelle condizioni di unirsi ed esprimere il meglio. Le competenze “dure” e di “vita” non si apprendono una volta per tutte. Nell’età dell’incertezza o Vuca – acronimo traducibile in italiano con le quattro parole “volatilità”, “incertezza,” complessità” e “ambiguità” – occorre rinascere quotidianamente come professionisti. «Per stare al passo con il sapere fluido dobbiamo imparare, disimparare e imparare di nuovo, acquisendo e aggiornando le nostre capacità – dice Poletti –. Per questa ragione, ai tempi del coronavirus, della guerra in Ucraina e dello spettro della crisi economica, tanti professionisti come me si sono messi a studiare e ristudiare in Italia come si fa innovazione radicale e incrementale, come si sviluppa il pensiero progettuale o come si mette in piedi una start up. Siamo diventati, appunto, nuovi professionisti». Grazie a questa esperienza, portata avanti da donne e uomini di età compresa tra 30 e 60 anni, è nata la Generazione R di Rinascita: «La generazione R di Rinascita è a numero aperto: chi vuole può farne parte a patto di voler apprendere per tutta la durata della nostra lunga vita professionale», afferma l’autore. Leader non si nasce una sola volta, ma si diventa tutti i giorni della carriera lavorativa.

Una nuova riforma per il lavoro in otto punti

Serve una nuova riforma del lavoro in Italia che segni un cambio di passo e di prospettiva rispetto alle misure chiave introdotte negli ultimi anni: dobbiamo concentrare tutte le nostre professionalità e risorse verso la promozione del lavoro. Per far questo servono misure e interventi che promuovano un nuovo decreto con al centro le politiche attive. Ecco gli otto punti guida proposti dal giuslavorista Francesco Rotondi:

* Abolizione del reddito di cittadinanza e introduzione del reddito per il lavoro. La nuova misura di sostegno al reddito sarà destinata prioritariamente all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone senza occupazione, con meccanismi semplici e immediati e che prevede il coinvolgimento dei Centri per l’impiego e le Agenzie per il lavoro private. Revoca del reddito per il lavoro alla prima rinuncia di (a) un posto di lavoro o di (a) un corso di qualificazione professionale finalizzato all’inserimento lavorativo. Stabilire un limite di età oltre il quale riconoscere la misura. Basta giovani con il reddito di cittadinanza. Reintrodurre l’assegno di ricollocazione come strumento di politiche attive.

* Semplificazione dei contratti a tempo determinato e in somministrazione. Rivedere le norme sul contratto a termine e della somministrazione nella direzione già tratteggiata nella prima versione del Jobs act che alla prova dei fatti aveva “vinto” nell’individuare questo modello come un valido strumento di accesso al mercato del lavoro. Reintroduzione della a-causalità, riportare la durata massima a 36 mesi, rimandare alla contrattazione collettiva i limiti quantitativi di utilizzo. Reintrodurre incentivi alla stabilizzazione del rapporto di lavoro.

* Apprendistato semplificato e introduzione del nuovo contratto di ri-apprendistato. Nell’alveo di una rivisitazione dell’istituto dell’apprendistato occorrerebbe immaginare un contratto di “ri-apprendistato” senza limiti di età che, però, ancora una volta deve essere svincolato dalle ipotesi restrittive nascenti dalla percezione di un sostegno al reddito. In questo contesto si tratterebbe di un contratto la cui durata dovrebbe essere compresa fra i 6 ed i 12 mesi per facilitare la ricollocazione e la formazione sul campo degli over 40/50enni.

* Giovani Neet: avvio del programma NeetLavoro. Introdurre incentivi economici che permettano il coinvolgimento attivo dei giovani che né studiano e né lavorano in un meccanismo organico di formazione professionale strettamente connesso alle richieste delle aziende.

* Difesa del potere d’acquisto dei lavoratori su base regionale. Rideterminare il rapporto fra costo per le aziende e netto in busta paga al dipendente attraverso un intervento rilevante sul cuneo fiscale che si basi sul reale costo della vita a livello territoriale e regionale.

* Welfare aziendale e fringe benefit. Incentivare fiscalmente il welfare in azienda anche con misure mirate verso i giovani, le donne e le famiglie allargando il paniere dei servizi e delle prestazioni riconducibili ai cosiddetti flexible benefit e portare a regime la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit almeno a 1.000 euro, superando gli interventi di natura temporale limitati, anche se di importi maggiori.

* Integrazione scuola-lavoro. Rilancio delle attività di integrazione tra scuola e lavoro aumentando le ore dedicate alle iniziative e definizione di laboratori scolastici congiunti tra scuole e università in cui imparare non solo nozioni professionali e lavorative ma anche le cosiddette competenze trasversali necessarie per qualsiasi sbocco lavorativo.

* Il lavoro dipendente oltre l’orario di lavoro: conta il risultato. Una riforma complessiva del concetto di subordinazione attraverso l’introduzione di un modello che, fermo restando un pacchetto inderogabile di tutele, sposti l’oggetto dell’obbligazione verso la responsabilizzazione al risultato non legando la prestazione al mero rispetto di un orario vincolante. Sotto questo profilo ad oggi la qualificazione del rapporto nel tipo lavoro subordinato comporta che al lavoratore siano applicati tutta una serie di istituti giuridici per il solo fatto che il rapporto rientra nell’ambito della subordinazione, il tutto a prescindere quasi completamente dall’organizzazione aziendale.

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