mercoledì 4 marzo 2020
Il nuovo piano industriale punta a realizzare gli obiettivi prefissati dal Green New Deal europeo. Lo si legge nell'istanza di accordo e prevede nuove tecnologie a minor impatto ambientale
Firmata l'intesa per l'ex Ilva. I sindacati: è troppo vaga
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Una firma che arriva a quattro mesi esatti dall’atto di citazione con cui la multinazionale del siderurgico voleva dire addio a Taranto (il 4 novembre 2019) e in "zona Cesarini", ovvero a ridosso dell’udienza che si sarebbe dovuta tenere domani al Tribunale di Milano.

È stato siglato oggi, in uno studio notarile del capoluogo lombardo, l’accordo tra Arcelor Mittal e i commissari dell’ex Ilva, che prevede la modifica del contratto di affitto e acquisizione per rinnovare il polo siderurgico della città ionica e la cancellazione della causa civile che era stata avviata a fine 2019. Nel testo viene previsto che Am InvestCo possa esercitare il recesso, con una comunicazione da inviare entro il 31 dicembre 2020, nel caso in cui non sia stato sottoscritto il nuovo contratto di investimento entro il 30 novembre 2020. «A pena di inefficacia dell’esercizio del diritto di recesso – si legge – Am InvestCo dovrà versare ad Ilva una caparra penitenziale di 500 milioni di euro». Nello studio notarile era presente anche l’Ad di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli. Ora, alla luce degli accordi, la controversia giudiziaria si chiude e dovrebbe iniziare il rilancio del polo siderurgico con un nuovo piano industriale. Al termine del progetto al 2025, Arcelor Mittal si impegna «ad impiegare il numero complessivo di 10.700 dipendenti» e punta a realizzare gli obiettivi prefissati dal Green New Deal europeo.

Con i commissari ex-Ilva, inoltre, è stato concordato di sostenere al 50% i costi per i lavori necessari «per l’attuazione delle prescrizioni ancora non adempiute relative all’altoforno 2» e le opere per «assicurare che gli altiforni 1 e 4 siano conformi alle prescrizioni disposte dalla Procura della Repubblica per l’Afo2».

Non si tratta, tuttavia, di un’intesa che mette d’accordo tutti. Anzi, particolarmente dura è la reazione dei parti sociali. La bocciatura da parte dei sindacati dell’intesa sull’acciaieria più grande d’Europa è totale, netta e unitaria. «Nei fatti il pre-accordo prevede una fase di stallo da qui alla fine del 2020 per quanto riguarda le prospettive e l’esecuzione del piano industriale», scrivono i segretari generali di Cgil e Fiom, Cisl e Fim, Uil e Uilm. «Tutto questo – aggiungono – arriva dopo due anni di ulteriore incertezza, particolarmente rischiosa per una realtà industriale che necessita invece di una gestione attenta e determinata».

Entrando nello specifico del documento firmato fra le due parti, i sindacati parlano di «totale indeterminazione». In particolare ci si riferisce «al periodo di tempo senza una governance chiara, al ruolo delle banche e dell’investitore pubblico, al mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici, al ruolo conseguente delle due società, alla possibilità con questo piano di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria e i lavoratori delle aziende di appalto, che l’accordo del 6 settembre 2018 assicurava».

Insomma, c’è scetticismo. La preoccupazione principale dei sindacati riguarda proprio i livelli occupazionali, visto che salirebbe il ricorso agli ammortizzatori sociali: «Il pre-accordo prevede un aumento dei lavoratori in cassa integrazione e il vincolo dell’accordo sindacale entro il 30 maggio senza una nostra preventiva condivisione del piano e degli strumenti adottati». Alla lista dei contrari a questo tipo di accordo è iscritto anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che fino all’ultimo aveva invitato i commissari a non siglare un’intesa ritenuta dannosa per la città.



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