mercoledì 8 luglio 2009
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«Ci vorranno anni, ma sono sicuro che alla fine si riconoscerà come l’unica via per uno sviluppo integrale, giusto, stia nel superare la dicotomia tra la sfera economica e quella sociale, nel portare la valutazione etica all’interno delle scelte economiche e non lasciarla fuori, ai margini».Stefano Zamagni, docente di economia politica all’Università di Bologna, è consultore del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e in questa veste legge l’enciclica «Caritas in veritate» come «un documento che avrà un impatto notevole nelle scienze sociali ed economiche».Professore, sembra una provocazione parlare di carità, di amore, di gratuità nell’economia. Non è una contraddizione troppo forte rispetto alle ferree leggi del mercato?Questo è proprio il senso profondo dell’enciclica. Se il mercato continuerà a escludere il principio del dono è destinato a implodere. E d’altro canto la crisi in cui siamo sprofondati, le tante storture e ingiustizie che abbiamo sotto gli occhi lo evidenziano già. Il cambio di paradigma è la grande novità di questo documento. Anche rispetto alle altre encicliche sociali che scontavano una lacuna strutturale: venivano osservati i fenomeni economici, se ne evidenziavano i limiti e poi si proponevano le opere di carità per temperarne gli effetti negativi. Invece occorre agire sul momento generativo delle sofferenze, non metterci una pezza dopo. Il dono non dev’essere inteso come filantropia, ma come chàris, amore gratuito ricevuto e donato che sta dentro il processo economico, nel mercato.Non stiamo parlando del «capitalismo compassionevole» tanto caro agli americani?Siamo agli antipodi. Tolstoj diceva che il filantropo è colui che dopo averti defraudato ti restituisce una parte del maltolto per non sentirsi in colpa. No, quello che il documento pontificio indica è un dare perché nessuno sia più nel bisogno, un agire nel momento della creazione dello scambio economico in una logica nuova. Se guardiamo al passato, si tratta di recuperare la lezione degli economisti di scuola francescana del 1500, poi «sopraffatti» dalla scuola anglosassone a partire dal ’700.Ma concretamente come si cambia la logica economica oggi dominante?Il Papa indica un modello preciso: quello dell’impresa che, pur all’interno delle leggi di mercato, si pone una finalità più ampia rispetto alla massimizzazione del profitto e dell’efficienza: l’obiettivo dell’utilità sociale complessiva. E guardate che già esistono esempi concreti: l’economia di comunione, il mondo del non profit, le cooperative già vanno in questa direzione, sono una realtà che oggi in Europa pesa per il 10% del Pil e occupa il 6% della forza lavoro. Qui non c’è da far predicozzi, ma da espandere il modello dell’economia civile, stimolare un atteggiamento pro-sociale dei soggetti del mercato. C’è un’equazione precisa: quanta più impresa sociale trovo in un Paese tanto meno ho necessità della filantropia. Perché non redistribuisco a valle, ma agisco a monte dentro il processo economico. Attenzione, però: il mondo del non profit, della finanza etica, è chiamato ad essere lievito nel mercato, a mischiarsi con le imprese profit, a contaminarle, a trascinarle. Non vogliamo i "duri e puri", quelli «bravi e corretti» che però restano chiusi nelle loro piccole nicchie: il Papa chiama a cambiare tutto il mercato.A proposito, oggi comincia il G8: l’enciclica come parla ai Grandi, fornisce indicazioni?Certo, indica l’orizzonte di una governance sussidiaria e poliarchica della globalizzazione. Che non significa creare un super-esecutivo mondiale, ma studiare un sistema di regole che tengano in ordine il mercato mondiale, in chiave sussidiaria, appunto, e solidale. Ci sono poi tre proposte concrete. Aggiungere al Consiglio di sicurezza dell’Onu un organismo analogo che si occupi di acqua, cibo e sanità. Se fosse già stato operativo, non avremmo avuto i morti per fame dovuti alle speculazioni sulle granaglie del 2007. La seconda proposta è di creare altre due agenzie mondiali dedicate alle migrazioni e all’ambiente. In questi due ambiti servono tutele, regole e sanzioni. Infine, affiancare all’assemblea delle Nazioni unite un altro consesso formato da Ong, fondazioni e Chiese. Non per discutere all’infinito, ma per decidere, per governare i processi.Le parole utilizzate a proposito della condizione dei lavoratori hanno toni assai preoccupati.Benedetto XVI si è reso conto che la logica della massimizzazione del profitto sta portando all’affermazione del mito dell’efficienza. E chi non risulta economicamente efficiente viene emarginato, fino ad essere letteralmente «buttato via». Ma non possiamo, per favorire l’emergere dei «migliori», emarginare metà della popolazione. Ricordo uno degli ultimi discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II a novembre 2004 nel quale sottolineava come «la discriminazione in base all’efficienza non è meno disumana di quella per razza, religione o malattia». Purtroppo l’attuale sistema economico sta enfatizzando questa selezione.
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