Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura la beatificazione del giovane congolese Floribert Bwana Chui, martire della corruzione - Gambassi
Le grida e i ritmi africani si impossessano della Basilica di San Paolo fuori le Mura. Insieme con i colori sgargianti degli abiti, i foulard sventolati sopra le teste, i battimani che accompagnano le musiche dei bonghi, le danze che irrompono nelle navate. È una grande festa dell’Africa intorno alla tomba dell’Apostolo delle genti quella di domenica pomeriggio. Nel nome del giovane congolese della Comunità di Sant’Egidio, Floribert Bwana Chui, martire della corruzione, che viene proclamato beato nella grande basilica papale a Roma durante la Messa presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi. Quando il porporato finisce di leggere la lettera di Leone XIV che iscrive il 26enne della diocesi di Goma nel numero dei beati («Uno dei primi decreti firmati dal nuovo Pontefice», ricorda il cardinale) e mentre viene scoperto il ritratto del giovane vicino all’altare, l’entusiasmo di un intero continente esplode nella chiesa. C’è il volto del beato sugli abiti delle donne o nelle bandierine che alzano anche i sacerdoti. E soprattutto accanto al logo di Sant’Egidio che si raduna per un suo “figlio” salito all’onore degli altari dopo essere stato torturato e ucciso nel luglio 2007 in odio alla fede.
Il cardinale Marcello Semeraro durante la beatificazione del giovane congolese Floribert Bwana Chui, martire della corruzione - Gambassi
Semeraro ricorda quando al giovane «con le minacce e le lusinghe della corruzione fu chiesto di far passare alla dogana del cibo avariato che avrebbe avvelenato le tavole della gente di Goma. Egli, nutrito dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, si chiese: “Se faccio questo, sto vivendo in Cristo? Sto vivendo per Cristo?”. “Come cristiano – così si rispose – non posso accettare di sacrificare la vita delle persone. È meglio morire che accettare questi soldi”. La scelta era decisiva: in quel momento drammatico, era tra il vivere per sé stessi e il vivere per Cristo. E questo ha un prezzo; è, anzi, un caro prezzo». Il cardinale incensa una reliquia di Floribert che viene portata in processione nella celebrazione: la giacca lisa che indossava quando venne rapito. «Un maestro di speranza», lo definisce Semeraro, per «i giovani di tutto il mondo» perché «nel suo umile esempio possono trovare la forza del bene e di fare il bene, resistendo alle lusinghe di una vita dominata dalla paura e dal denaro».
Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura la beatificazione del giovane congolese Floribert Bwana Chui, martire della corruzione - Gambassi
La Basilica è affollata. In molti sono arrivati dal Congo. Compresa la famiglia del nuovo beato che «l’ha educato alla fede e oggi rappresenta un modello di vita cristiana», spiega a conclusione della celebrazione il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo. E indica Floribert come un segno di «speranza di una pace duratura per il Paese» e uno sprone a «impegnarci nella lotta alla corruzione, piaga della nostra società». In prima fila il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, e il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, che nel saluto finale sottolinea come il nuovo beato «con la sua testimonianza ci faccia scoprire una forza di pace, di bene, di cambiamento, di fiducia in Dio».
I vertici di Sant'Egidio alla beatificazione del giovane congolese Floribert Bwana Chui, martire della corruzione - Gambassi
Semeraro cita una frase del giovane: «Tutti hanno diritto alla pace nel cuore». Parole che «ci colpiscono più che mai. Se, infatti, celebriamo qui in Roma la sua beatificazione, è perché purtroppo a Goma mancano le condizioni di sicurezza e tranquillità». E, guardando alla positio, sottolinea: «Tra le testimonianze raccolte si legge che non voleva la guerra e che proprio con il suo impegno intendeva riunire i giovani di Goma come in una famiglia. Scelse perciò di condividere l’impegno di Sant’Egidio per la pace; perché – diceva – “mette tutti i popoli alla stessa tavola”. Sognava di essere un uomo di pace e di potere così contribuire alla pace della sua terra che amava tanto. Dunque, facciamo nostra la sua aspirazione a un Congo in pace». Papa Leone aveva ricordato Floribert Bwana Chui al mattino durante l’Angelus. «Si opponeva all’ingiustizia e difendeva i piccoli e i poveri», aveva detto. E poi l’auspicio: «La sua testimonianza dia coraggio e speranza ai giovani della Repubblica Democratica del Congo e di tutta l’Africa».