martedì 29 settembre 2020
Parlano gli studiosi di diritto canonico Moneta e Consorti. Cosa significa «rinunciare ai diritti connessi al cardinalato»
Gli esperti: è una novità in campo canonistico, ma svuotare un incarico di tutte le funzioni significa farlo cessare

Gli esperti: è una novità in campo canonistico, ma svuotare un incarico di tutte le funzioni significa farlo cessare - Ansa

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Cosa significa «rinunciare ai diritti connessi al cardinalato», come scritto nel comunicato della Sala stampa vaticana a proposito della scelta compiuta dall’ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Angelo Becciu?

Prima di entrare nel merito della questione – ci tengono a sottolineare gli esperti – c’è una premessa indispensabile da fare. Anzi due. E cioè che quella dei “diritti” dei cardinali è una novità assoluta in campo canonistico. Il codice parla infatti di “obblighi” e di “doveri”, non di 'diritti'. Un errore del comunicato?

No perché – ed è la seconda premessa – bisogna aggiungere che il codice dice che il Papa è il massimo giudice e legislatore della Chiesa e la sua autorità è «piena, totale, suprema, immediata e universale». Quindi ciò che il Papa decide, anche in termini di diritti e di doveri dei porporati non è appellabile. Impossibile cioè invocare un processo. Inoltre, fa notare, Pierluigi Consorti, ordinario di diritto canonico all’Università di Pisa e presidente di Adec (Associazione dei docenti universitari della disciplina giuridica del fenomeno religioso) – c’è il canone 1405 che permette al Papa un giudizio senza mediazioni e senza processo – se lo ritiene – quando c’è di mezzo un cardinale. Ma la rinuncia ai “diritti del cardinalato” quali conseguenze comporta?

A parere di Paolo Moneta, già presidente dei canonisti italiani, si tratta di una situazione molto chiara, per quanto non esplicitata nel dettaglio. Il fatto che un cardinale rinunci alle sue prerogative e quindi non le possa più esercitare, svuota di fatto il ruolo da tutto ciò che lo caratterizza. E cioè, come previsto dagli articoli 349, 353, 356 e successivi del Codice di diritto canonico: l’elezione del Papa, l’aiuto e il sostegno al Pontefice attraverso i concistori ordinari e straordinari e la collaborazione “assidua” con il Papa attraverso gli incarichi svolti. «Il codice non dice espressamente – aggiunge l’esperto – che chi rinuncia a queste prerogative non potrà più eleggere il Pontefice, partecipare ai concistori ed “essere considerato un collaboratore del Papa”, ma il venir meno di queste tre funzioni mette di fatto il protagonista della rinuncia ai margini del Collegio cardinalizio e lo priva di tutte le funzioni connesse ». Una scelta definitiva? «Certo, fermo restando che il Papa può anche ripensarci e reintegrare la persona che ha presentato la rinuncia». Bisogna anche considerare che, riflettendo sempre sulle parole del comunicato, che si parla di rinuncia in modo generale, non di “alcune rinunce”.

E si dice che il Papa ha formalmente accolto la decisione. Quindi una decisione tecnicamente compiuta e irreversibile. Ma se un cardinale rinuncia a quanto previsto dal codice di diritto canonico per le sue funzione, decade anche dalla dignità cardinalizia? «Dal mio punto di vista sì – risponde Moneta – quando rinuncia lo fa in modo totale e definitivo. Il codice di diritto canonico non prevede esplicitamente la rinuncia, ma essendo, come detto, il Papa supremo legislatore, può aver deciso questo passo ». Siamo, certo, in una situazione unica e quindi si tratta solo di ipotesi. «Possiamo spiegarlo in questo modo – aggiunge Consorti – qui non c’è una persona che rinuncia a diritti e privilegi, ma che rinuncia alle sue funzioni. E se le funzioni sono evidentemente quelle previste dal codice di diritto canonico, ci troviamo di fronte a un ruolo totalmente svuotato di ogni funzione e che quindi cessa di essere tale». Se un cardinale rinuncia alle proprie prerogative perde anche alla tua titolarità della chiesa romana o della diaconia romana a lui assegnata? «Anche questa è una questione da accertare, ma la rinuncia a tutte le prerogative dovrebbe comprendere anche questa, così come – conclude Consorti – quella prevista dal canone 357, cioé l’esenzione dalla “potestà di governo del vescovo della diocesi in cui dimora” quando si trova fuori da Roma o dalla diocesi di cui è titolare. Chi fa un passo indietro, rinuncia a tutto, porpora compresa».

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