martedì 22 settembre 2020
Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, presentando la lettera "Buon Samaritano", invita a coniugare sentimenti e verità. Pessina: dal documento il concetto di "comunità sanante"
Adriano Pessina, mons. Giacomo Morandi, il cardinale Luis Ladaria Ferrer e Gabriella Gambino, durante la conferenza stampa per la presentazione della lettera "Buon Samaritano"

Adriano Pessina, mons. Giacomo Morandi, il cardinale Luis Ladaria Ferrer e Gabriella Gambino, durante la conferenza stampa per la presentazione della lettera "Buon Samaritano" - Foto Siciliani

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Nel caso dei malati terminali e del fine vita la compassione non deve mai essere disgiunta dalla verità. Altrimenti la prima diventa falsa e si apre la strada a pratiche eutanasiche. Lo ha ribadito il cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, presentando nella sala stampa vaticana la lettera Samaritanus bonus. (QUI) Un esempio di falsa compassione è certamente il suicidio assistito. E perciò il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, rispondendo alle domande di giornalisti ha sottolineato: “A coloro che propagandano queste pratiche direi che “la falsa compassione non è giusta, non è retta, perché non rispetta il diritto del malato ad essere accompagnato in tutte le fasi della vita”.

Tuttavia, ha aggiunto, molto di più che con le parole, bisogna esprimersi con la testimonianza. “Dobbiamo cerare di essere molto vicini ai malati, perché qualche volta gli atteggiamenti sono molto più importanti dei ragionamenti”. E citando Paolo VI, Ladaria ha aggiunto: “Il nostro tempo crede molto di più ai testimoni che ai maestri”. “La testimonianza muove di più dell’insegnamento, anche se le due cose non sono in alternativa: non si tratta tanto di cosa dire, ma di cosa posso fare, della mia testimonianza. Se l’insegnamento non è accompagnato dalla testimonianza, perde il suo valore. Basta pensare alla storia della Chiesa: la fede si è propagata attraverso i martiri, cioè i testimoni”. Interpellato in merito ad uno degli obiettivi del nuovo testo, quello di evitare ogni “ambiguità” sui temi legati alla fine della vita, e sul possibile riferimento alle “ambiguità” di qualche vescovo in materia, Ladaria ha risposto: “Nessun vescovo parla in maniera infallibile: il magistero della Chiesa è articolato e si esplicita a molti livelli. Una cosa sono gli insegnamenti del Concilio,un’altra la dichiarazione di un singolo vescovo a qualche giornalista”.

Testimonianza e magistero sicuro devono poi sostenere quella che l’arcivescovo Giacomo Morandi, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, ha definito un’azione culturale, per superare alcuni ostacoli posti dalla cultura dominante oggi. “Un uso equivoco del concetto di ‘morte degna’” e appunto “un’erronea comprensione del concetto di compassione”. “In realtà – ha spiegato il presule – come recita con chiarezza il testo la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e mezzi per alleviare la sofferenza”. In fine “l’individualismo crescente, che induce a vedere gli altri come limite e minaccia alla propria libertà”.

La vicinanza, l’accompagnamento e lo “stare” insieme ai malati si possono esprimere anche nei confronti di coloro che chiedono l’eutanasia e il suicidio assistito. Ma in questo caso le giuste esigenze pastorali non devono creare confusioni e fraintendimenti. “Un caso del tutto speciale in cui è necessario riaffermare l’insegnamento della Chiesa è l’accompagnamento pastorale di colui che ha chiesto espressamente l’eutanasia o il suicidio assistito”, ha detto infatti il cardinale. Ma “per poter ricevere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza, così come l’Unzione degli infermi e il Viatico, occorre che la persona, eventualmente registrata presso un’associazione deputata a garantirle l’eutanasia o il suicidio assistito, mostri il proposito di retrocedere da tale decisione e di annullare la propria iscrizione presso tale ente”. Nel testo infatti è scritto: “Non è ammissibile da parte di coloro che assistono spiritualmente questi infermi alcun gesto esteriore che possa essere interpretato come un’approvazione anche implicita dell’azione eutanasica, come, ad esempio, il rimanere presenti nell’istante della sua realizzazione”. “Ciò, unitamente all’offerta di un aiuto e di un ascolto sempre possibili, sempre concessi, sempre da perseguire, insieme ad una approfondita spiegazione del contenuto del sacramento, al fine di dare alla persona, fino all’ultimo momento, gli strumenti per poterlo accogliere in piena libertà”. Ladaria ha aggiunto: “Anche quando la guarigione è impossibile o improbabile, l’accompagnamento medico-infermieristico, psicologico e spirituale, è un dovere ineludibile, poiché l’opposto costituirebbe un disumano abbandono del malato”.

Le cure palliative, però, non possono e non devono diventare “forme di cripto eutanasia”. Lo ha sottolineato Gabriella Gambino, sotto segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. In tal senso, ha aggiunto, “qualunque forma di rispetto della volontà del paziente – espressa anche tramite dichiarazioni anticipate – o di rinuncia all’accanimento terapeutico deve sempre e comunque escludere qualsiasi atto o intenzione di natura eutanasia o suicidaria e piuttosto accompagnare alla morte naturale”.

Secondo Adriano Pessina, membro del direttivo della Pontificia Accademia per la Vita, la Lettera “Samaritanus bonus” introduce “il concetto di comunità sanante, una bella intuizione che dà voce a tutta la centralità delle relazioni messe in evidenza dall’antropologia contemporanea, eppure non sufficientemente praticata all’interno degli attuali processi di cura e di assistenza. Nessuno nella sofferenza ci è mai estraneo.

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