martedì 25 luglio 2017
L'omaggio del presidente al sacerdote ucciso da due jihadisti. Le parole della sorella: «All’inizio faticavo persino a pregare. Poi ho incontrato le madri dei due attentatori»
La commemorazione di padre Hamel

La commemorazione di padre Hamel

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Padre Jacques Hamel, il sacerdote ucciso esattamente un anno fa mentre diceva messa nella parrocchia di Saint-Étienne-du-Rouvray "è più vivo che mai": lo ha detto l'arcivescovo di Rouen, Dominique Lebrun, durante le commemorazioni della vittima assassinata da due terroristi affiliati al Daesh. "Uccidere in nome di Dio è inumano. L'odio non ha trionfato e non trionferà", ha aggiunto. Lebrun ha anche ringraziato la comunità musulmana per aver "tenuto ad essere presente" alla cerimonia odierna in ricordo di Frère Jacques. "Uccidendo padre Hamel ai piedi del suo altare, i terroristi hanno pensato di scatenare la voglia di vendetta tra i cattolici di Francia. Hanno fallito"; sono le parole del presidente francese, Emmanuel Macron, alla commemorazione. "Ringrazio la Chiesa di Francia di aver trovato nella fede e nelle preghiere il potere del perdono. Vi ringrazio per aver dato a tutta la Francia lo stesso esempio, per aver rifiutato questa sete di vendetta e di rappresaglia", ha aggiunto.


Le parole della sorella: ho scelto la via del perdono (di Daniele Zappalà)

«Nei dieci Comandamenti, ci sono già tutti quei princìpi», afferma concentrata Roseline, 77 anni, davanti alla stele bronzea appena posata accanto alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nella banlieue di Rouen, in Normandia. Suo fratello maggiore ottancinquenne, padre Jacques Hamel, celebrava un anno fa la Messa mattutina quando è stato aggredito e trucidato sull’altare da due giovani jihadisti. Inaugurata oggi 26 luglio in presenza del presidente Emmanuel Macron e del premier Edouard Philippe, nel corso di una giornata segnata fin dal mattino da una celebrazione presieduta da Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, la «stele repubblicana per la pace e la fratellanza e in memoria del padre Jacques Hamel» mostra il profilo stilizzato del sacerdote, in mezzo agli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. Roseline dice di non essere disturbata dall’assenza di simboli religiosi.
La casa di suo fratello dista solo un centinaio di metri. Gli oggetti della vita quotidiana, ancora al loro posto, ispirano sempre quella semplicità con cui il sacerdote aveva intessuto per decenni relazioni anche ben al di là della comunità parrocchiale.

«Era penetrato dalla forza della passione»

«All’inizio, faticavo persino a pregare, la sofferenza era troppo grande. Ma al ritorno da Roma (dov’è stata ricevuta dal Papa, ndr), ho capito che potevo nuovamente partecipare all’Eucaristia senza sentirmi sconvolta. Mio fratello era penetrato da questa forza della Passione», racconta, dicendosi ormai certa del senso del martirio: «Da quel triste giorno, si alza un appello per gli artigiani di pace di ogni popolo, rivolto ai credenti e non, a religiosi e laici, in nome di un Dio d’amore». Dopo una pausa, Roseline precisa: «La fede profonda di mio fratello, divenuto un fratello universale, invita ciascuno a colmare d’umanità ogni parola e gesto».

Se dichiara di non aver compreso immediatamente il senso profondo delle omelie pronunciate subito dopo la morte del fratello, più facile le è risultato trovare la chiave del perdono. Madre di quattro figli, ha deciso un giorno di contattare le madri dei due assassini, morti a loro volta sotto i colpi delle forze anti-terrorismo: «La mia sofferenza è immensa, ma non vorrei portare la loro. Ho provato il bisogno di applicare questa benda sopra il mio dolore. Ormai, siamo legate». Ma il coraggio è giunto pure imitando il fratello: «Quando pensava alla Passione, pronunciava sempre le parole di Cristo crocifisso: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Credo sia stato il suo ultimo pensiero». Per la donna, anche il ricordo di un’altra lezione è ormai un unguento interiore: «Mio fratello condivideva molto con i musulmani di qui. Soprattutto, un’amicizia sincera. Adesso, con la grazia dello Spirito Santo, spero che quest’apertura possa crescere ancora».


Il ritratto realizzato da un musulmano

Nella navata della chiesa dove il sacerdote è stato assassinato, fra storiche volte in pietra e legno, risaltano le stazioni d’argilla in rilievo della Via Crucis, sotto una schiera di vetrate policrome sormontate da cuori. Ma in fondo, c’è ormai pure un dipinto ad olio che mostra padre Jacques di profilo con un’aureola sul capo. Realizzato da “Moubine, credente musulmano”, il quadro riempie d’emozione Roseline: «Mi sento a mio agio accanto a quel dipinto che infonde grazia e un messaggio semplice: l’islam non è violenza, ma invoca un Dio che traccia un cammino d’amore e perdono».

A Saint-Etienne-du-Rouvray, comune multiculturale retto da una giunta comunista, un anno fa molti temevano che il dramma del 26 luglio, giunto appena 12 giorni dopo la strage jihadista di Nizza (dove un uomo alla guida di un tir ha falciato la folla sul lungo mare, uccidendo 86 persone e ferendone altre 302, ndr), avrebbe appiccato un rogo nella convivenza sociale. Ma come testimoniano i tanti messaggi di solidarietà e dolore che continuano a giungere dalla comunità musulmana, ha invece prevalso la forza dei legami a cui padre Hamel contribuiva da decenni, con perseveranza, affiancato in particolare da suore molto dedite ad opere di carità. La Francia intera ha così scoperto il senso concreto delle parole fratellanza e dialogo, in nome della fede, in un’umile periferia di provincia.


Le ultime ore. «I parrocchiani lo avevano trovato felice»

«La piaga è ancora viva», ammette padre Auguste Moanda, redentorista, il parroco di Saint-Etienne-du-Rouvray giunto qualche anno fa dalla natìa Repubblica Democratica del Congo. Ma nei suoi occhi si accende la speranza quando ripensa ai "segni" delle ore che hanno preceduto la morte di padre Hamel: «I parrocchiani l’avevano trovato felice, trasfigurato come mai prima. Ero in vacanza in Congo, ma ho sentito di dover rientrare una settimana prima del previsto. Ho appreso gli eventi a Parigi, appena arrivato in Francia».

L'arcivescovo Lebrun: il martirio fa di nuovo parte delle nostre vite

«Nel Paese si stava forse quasi perdendo la coscienza di cosa significhi il martirio - dice ad Avvenire Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen - essendo stati gli ultimi lontani nel tempo, in particolare quelli durante la Rivoluzione francese. Quest’esperienza sta aiutando le comunità cristiane in Francia a prendere coscienza del senso profondo di essere cristiani. Il martirio fa parte di nuovo delle nostre vite in modo visibile». E sulle parole proununciate da Hamel prima di morire, «Vattene, Satana!», così commenta il presule: «Per anni, non abbiamo parlato spesso del diavolo, di satana. Ma adesso, meditando davvero quelle parole, ci accorgiamo ogni giorno di una verità paradossale: il male è una buona novella, nel senso che la sua incarnazione non ci rappresenta fino in fondo. Il male si esprime nelle nostre azioni, ma noi non gli apparteniamo».

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