martedì 25 luglio 2017
Parla il domenicano Jean Jacques Pérènnes, amico e biografo del vescovo di Orano Pierre Claverie, ucciso in Algeria nel 1996
Padre Jean Jacques Pérènnes

Padre Jean Jacques Pérènnes

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«Ho vissuto e ho pianto la morte di padre Hamel con la stessa commozione con cui partecipai ai funerali del mio amico il vescovo di Orano Pierre Claverie. Il martirio di questo uomo semplice e buono, un vero curato di campagna come era in fondo il padre Hamel barbaramente ucciso mentre celebrava la Messa. Mi ha fatto subito pensare alle parole di Gesù ai discepoli “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Egli come recita il Vangelo di Giovanni ha dato la “vita per i propri amici”». Sono le prime istantanee che affiorano nella mente del domenicano francese Jean Jacques Pérènnes, classe 1949 attualmente rettore dell’École Biblique di Gerusalemme e per tanti anni direttore del Centro domenicano di studi orientali al Cairo. Una figura quella di padre Pérènnes nota soprattutto per esser stato l’amico, il confidente e il biografo – dopo la sua tremenda uccisione il 1 agosto del 1996 in Algeria – del vescovo di Orano Pierre Claverie. «Sia nel caso di Hamel sia in quello di Claverie – è la confidenza di Pérènnes – mi ha colpito la reazione di condanna unanime del mondo islamico. Ricordo che nel giorno dei funerali del mio confratello Claverie mi impressionarono le parole degli algerini: “Egli da oggi è anche il nostro vescovo non solo dei cattolici”. Una reazione composta e di condanna di ogni forma di fondamentalismo che ho rivisto nel giorno dei funerali di padre Hamel dove tanti musulmani hanno voluto rendere omaggio a questo parroco, un uomo mite e buono che amava la convivenza e il dialogo con ciascuno». E annota un particolare: «Entrambi il vescovo di Orano e padre Hamel, seppur da contesti diversi, hanno coltivato un autentico rapporto di amicizia con l’islam».

La lezione dei monaci di Thibirine

In questi giorni padre Pérènnes si trova nella “sua” Francia per un periodo di riposo. «Proprio qui mi sono confrontato con un mio amico che è imam – è la riflessione – sulla tragica morte di Hamel e di quanto sconcerto, disagio abbia suscitato nel mondo islamico. Una ferita mi ha confidato a una parola sacra per noi come quella dell’amicizia...». Padre Pérènnes si sofferma sul significato più profondo del martirio cristiano oggi. «Nessun credente in Cristo può – è l’argomentazione del domenicano con un passato di studi economici – desiderare il martirio. Mi vengono spesso in mente le parole del monaco di Thibirine, ucciso nel 1996, il trappista Christian de Chergé: “Non possiamo mai desiderare la morte data dai nostri amici musulmani perché abbiamo scelto di vivere con loro”. La vita è un dono che ci viene da Dio. E il martirio del sangue – che ci avvicina idelamente alla Passione di Gesù e ci fa vivere in comunione con lui – è l’ultima risposta e deve essere data in extremis».

Il domenicano indica un suggerimento: «Mi viene spesso in mente il consiglio che arrivava dal mio confratello Claverie che raccomandava di sperimentare – quando è possibile – un’altra strada quella del “martirio bianco”: cioé di vivere il primato della carità, dell’annullarsi spesso nel nascondimento per la vita degli altri. Credo che la prima testimonianza sia proprio questa soprattutto per tutti quei sacerdoti e laici che scelgono di vivere in luoghi – mi viene in mente il martoriato Medio Oriente – dove il cristianesimo è minoranza ed è spesso perseguitato e messo ai margini dalla società dominante. Luoghi di frontiera e di periferia – penso alla visita a Lampedusa dove, come ci indica papa Francesco – è necessario rimanere per dare una testimonianza anche di speranza e di risveglio della nostre coscienze. Spazi territoriali difficili che padre Claverie definiva non a caso “luoghi di frattura” dove però è necessario rimanere per lasciare un segno».

«Imparare a convivere con chi è diverso da noi»

Una morte quella di padre Hamel che può innestare dei frutti sani nel difficile terreno della convivenza. «Credo di sì – è la riflessione finale – la sua uccisione ha rappresentato un risveglio delle nostre “società cristiane” della Francia non più cattolica. Alla luce della mia esperienza in Egitto penso che sia necessario imparare a convivere con chi è diverso da noi. Al Cairo ho instaurato importanti amicizie con persone islamiche. Con loro ho imparato a fare cose semplici: piangere i loro morti, condividere delle cene e delle passeggiate. Solo così si potranno superare tanti pregiudizi e abbattere tanti muri e rendere così il giusto omaggio al sacrificio di padre Hamel»

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