sabato 4 luglio 2020
Nelle missive una vita fatta di studio, preghiera, amicizie, con l’entusiasmo di essere cristiano
Quattrocento lettere specchio di un’anima
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«Certo la Provvidenza Divina nei suoi mirabili piani si serve talvolta di noi miseri fuscelli per operare il Bene e noi talvolta non vogliamo conoscere anzi osiamo negare la Sua esistenza, ma noi, che grazie a Dio, abbiamo la Fede, quando ci troviamo davanti ad anime così belle [...], non possiamo che riscontrare in esse un segno evidente della esistenza di Dio». Così all’amico Marco Beltramo il 10 aprile 1925 dopo una visita a Clementina Luotto. «Io passo la vita dedicata allo studio […]. La mente inzuppata di questa arida scienza trova ogni tanto pace e refrigerio e godimento spirituale nella lettura di san Paolo. Io vorrei che tu provassi a leggerlo: è meraviglioso e l’anima si esalta da quella lettura e noi abbiamo sprone a seguitare la retta via…», così il 29 aprile 1925 all’amico Isidoro Bonini, socio del circolo universitario cattolico “Cesare Balbo”.

«Troverà in questa lettera tre programmi per il concerto che si darà a favore dei poveri della Madonna della Pace, soccorsi dalla nostra Conferenza; glieli invio fiducioso in ciò che è scritto nel Vangelo: “Bussate e vi sarà aperto”. Mille auguri di pronta guarigione…», così un mese dopo a Tina Bonelli spesso tacciata scherzosamente d’incapacità inguaribile quanto all’organizzazione delle frequenti gite. Queste frasi sono spigolate dalle ultime lettere di Pier Giorgio Frassati, giovane dell’alta borghesia torinese (il padre Alfredo era proprietario del quotidiano La Stampa) mancato a ventiquattro anni nel 1925, ancor oggi ricordato come testimone di fede nel mondo giovanile, specie associativo. E non a caso tutta Azione Cattolica, Fuci, San Vicenzo, Terz’ordine Domenicano…, tutta preghiera e Vangelo e studio, ma anche tutta gite e incontri fra amici, sport, arrampicate, scalate, vette da raggiungere – quasi metafore di una spiritualità laicale – è stata la sua vita. Impegnata alla fine nella consapevolezza di perderla. «Sto aspettando di giorno in giorno di armarmi di una volontà, che mi dia la forza di portare a termine l’ultima fatica; poiché ormai sono vicino a raccogliere ciò che ho seminato», così a Marco Beltramo – con parole lette oggi meno sibilline – alla vigilia della morte.

«Solo impegnando la vita – consapevoli di perderla! – creiamo per gli altri e per noi le condizioni di fiducia nuova nel futuro. E qui il pensiero va spontaneamente a un giovane che ha davvero speso così la sua vita, tanto da diventare un modello di fiducia e audacia evangelica per le giovani generazioni […]: il beato Pier Giorgio Frassati», così papa Francesco a Torino nel 2015. Il ritratto di questo giovane affascinato dalla vita cristiana, pronto a spendersi per i più bisognosi – tanto che non solo li visitava nelle loro stamberghe o nel Cottolengo, ma aveva piegato pure i suoi studi, ingegneria mineraria, per lavorare accanto ai minatori – si delinea nitido soprattutto nel suo epistolario curato dalla sorella Luciana (mancata nel 2007, poi al centro del libro dedicatole da Marina Valensise con il titolo La temeraria edito da Marsilio). Questa corrispondenza è tornata in libreria in una nuova edizione, con le quattrocento missive arricchite da inediti e da una prefazione del cardinale Matteo Zuppi (Effatà, pagine 368, euro 16). Ed è proprio l’arcivescovo di Bologna, aprendo il volume a cogliere da subito la cifra di questa esistenza, breve e infinita al contempo, perché centrata sulla vicinanza quotidiana a Gesù ed espressa nell’amore per il prossimo: «…Se qualcosa emergeva della vita santa che lo Spirito Santo andava plasmando in lui – osserva – questo avveniva proprio nei rapporti con gli amici, con i poveri e con il Signore. Così che amicizia, carità e fede insieme si tengono e insieme si illuminano nella sua vita e nelle sue Lettere».

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