lunedì 17 gennaio 2022
L’impennata dei contagi modifica l’agenda ecclesiale. La sospensione degli incontri per i ragazzi. Green pass per le attività parrocchiali. I casi di non far distribuire l'Eucaristia ai non vaccinati
Una celebrazione in una parrocchia italiana al tempo del Covid

Una celebrazione in una parrocchia italiana al tempo del Covid - Avvenire

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Prudenza è la parola d’ordine nelle diocesi e nelle parrocchie della Penisola di fronte all’impennata di contagi con cui l’Italia fa i conti. La nuova ondata di casi irrompe anche nell’agenda ecclesiale e modifica la vita all’ombra del campanile. Senza però stravolgerla. Non siamo certo al blocco delle celebrazioni pubbliche che, anzi, restano esperienze “sicure” grazie alle misure anti-Covid che da maggio 2020, quando è stato firmato il protocollo fra Cei e governo, scandiscono le liturgie in tutte le chiese del Paese e che hanno unito l’Italia nel segno dell’attenzione alla salute.

La Conferenza episcopale italiana ha chiesto di tenere alta la guardia, ribadendo che non serve il super Green pass per andare a Messa e neppure per le processioni, ma raccomandando anche la mascherina Ffp2 e precisando che non possono partecipare agli appuntamenti di catechesi i ragazzi che a scuola sono sottoposti a “sorveglianza con testing” perché entrati in contatto con un positivo. Tuttavia ci sono vescovi e parroci che hanno scelto di ridurre le occasioni di possibile contagio nelle comunità. Decisioni prese con «senso di responsabilità», come si sottolinea da più parti e come ad esempio ha detto il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, una delle terre più colpite dal Covid due anni fa, che ha posto l’accento sul bisogno di «serietà» e «rispetto» indispensabili per «contenere il ritorno del contagio e le sue conseguenze più gravi». Un’opzione che in questi giorni viene presa in considerazione in più angoli della Penisola è l’interruzione del catechismo.

Fra le prime diocesi a imboccare questa strada c’è stata Prato che ha suggerito alle parrocchie di rinviare la ripresa degli incontri per l’Iniziazione cristiana. Una disposizione varata dalla segreteria del vescovo Giovanni Nerbini in accordo con l’Ufficio catechistico diocesano. «Siamo tutti consapevoli che la catechesi in presenza sia la forma migliore per la comunicazione della fede e per restare in contatto con le famiglie – si legge nella lettera per i parroci –. Ma non possiamo rischiare, soprattutto nel momento in cui il contagio interessa particolarmente i più giovani».

Analoga decisone è giunta dal vescovo Giovanni Roncari che guida le Chiese di Pitigliano-Sovana-Orbetello e di Grosseto. «Sappiamo – nota il presule – che la percentuale di bambini fino a 12 anni vaccinati è ancora bassa e questo non aiuta a contenere la diffusione del virus. Pertanto, seppur a malincuore, abbiamo convenuto sull’opportunità di una sospensione temporanea della catechesi in presenza». Da qui il richiamo alle «comunità e soprattutto ai genitori a curare che i loro figli partecipino alla Messa domenicale, come momento di formazione e crescita nel loro percorso di fede, senza interrompere il legame con la parrocchia» e il suggerimento di «introdurre una Messa particolarmente rivolta ai ragazzi».

Anche la diocesi di Trapani ha preferito fermare la catechesi per i più giovani. E il direttore dell’Ufficio, don Fabio Pizzitola, ha esortato a creare «occasioni di incontro online, di breve durata» e a «trovare forme alternative per manifestare la vicinanza ai bambini e alle loro famiglie».

Nell’arcidiocesi di Milano, dove l’inasprimento della pandemia preoccupa, la scelta di un eventuale stop al catechismo è demandato al «parroco e alla comunità educante» tenendo conto «sia delle motivazioni pastorali, sia delle concrete condizioni in cui avviene la catechesi, come per esempio, il numero e l’età di catechisti ed educatori, l’età dei ragazzi, il numero dei ragazzi che compongono i singoli gruppi, il numero dei ragazzi attualmente in quarantena o in isolamento». Certo, avverte la Curia, la catechesi dal vivo necessita del «rispetto scrupoloso delle regole prudenziali che si sono dimostrate efficaci nel prevenire il contagio in ambienti parrocchiali ». E l’arcidiocesi ricorda che «per gli incontri di catechismo e dei gruppi preadolescenti, adolescenti serve che gli operatori indossino sempre le mascherine Ffp2». Poi sollecita a mantenere la «distanza interpersonale di due metri». Indicazioni che si accompagnano a quelle dell’Osservatorio giuridico legislativo regionale della Conferenza episcopale lombarda messe a punto sull’onda del progressivo aumento di casi e recependo le nuove norme dell’esecutivo. Il super Green – si chiarisce – è obbligatorio per le assemblee parrocchiali, per le sagre, per il bar dell’oratorio, per concerti, proiezioni o spettacoli che si tengono nel teatro della comunità o in chiesa. È indispensabile anche per una «tombolata delle famiglie», per il centro anziani o il polo culturale, per conferenze o presentazioni di libri, per le attività sportive.

Nella diocesi di Pavia è stato scelto anche di vietare cene o pranzi in oratorio e vengono sconsigliate le feste. Ma i catechisti devono avere il Green pass? L’arcidiocesi di Milano vuole che sia compilata un’autodichiarazione, mentre la Chiesa di Bergamo lo chiede in modo esplicito perché gli animatori sono «equiparati agli insegnanti nelle scuole». E lo impone anche a «tutti i volontari» delle parrocchie: dai sacristi ai ministri straordinari della Comunione, dagli operatori Caritas a chi è impegnato nelle sale o nel bar. Un giro di vite che nella diocesi di Teano-Calvi e di Alife-Caiazzo ha portato il vescovo Giacomo Cirulli a congelare ogni attività in presenza e proibire a sacerdoti o diaconi non vaccinati di distribuire la Comunione con un provvedimento «nella linea di papa Francesco e della Chiesa italiana a sostegno della campagna vaccinale». Per il presule, vanno garantiti «il rispetto e la tutela della vita che in questo momento storico chiamano in causa le scelte di ogni singolo».

Un esempio che è stato seguito dal vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, come scrive in una lettera al clero della diocesi dove parla delle necessarie misure anti-Covid. «Diventa opportuno – sottolinea il vescovo – che i presbiteri, per prestare servizio nelle celebrazioni, abbiano sempre cura di trovarsi in una delle tre condizioni previste dalla legge: vaccinazione, guarigione da non oltre 180 giorni, o test negativo. La Comunione sia distribuita da ministri vaccinati o si incarichi persona idonea». E ancora più chiaramente afferma: «Personalmente vorrei che la Santa Comunione fosse distribuita (e a maggior ragione, portata agli ammalati), da ministri vaccinati. Qualora ciò non fosse possibile, si incarichi ad actum una persona idonea, religiosa o laica, dotata di avvenuta vaccinazione». Nel testo Napolioni invita, anche i fedeli, a «essere testimoni di fiducia, senso di responsabilità e attenzione al bene comune, compiendo un atto di amore che è costituito dalla vaccinazione».


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