mercoledì 26 ottobre 2011
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Magnifico Rettore, Cari Docenti, Gentili Signore e Signori, con grande piacere ho accolto l’invito a tenere l’intervento conclusivo di questa tavola rotonda che affronta un tema già in sé assai rilevante, ma reso oggi davvero cruciale dall’impegnativo frangente che stiamo attraversando. Negli interventi della tavola rotonda, così come nel libro che è stato presentato, mi sembra opportuno evidenziare due punti nodali che, in un certo senso, costituiscono lo sfondo delle mie conclusioni. Il primo punto, che potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è affatto, è la centralità della persona umana in tutte le fasi di quel complesso procedimento che chiamiamo “assistenza sanitaria”. Tale centralità è certamente quella del paziente; ma è anche quella di coloro che sono chiamati a prendersi cura di lui, in primo luogo gli operatori sanitari e i famigliari. Il secondo è che le criticità attuali del mondo sanitario non sono frutto soltanto dello scenario economico sfavorevole, ma, come è stato ben evidenziato, vengono da più lontano. Esse sono legate all’insufficienza di un modello culturale e antropologico che si è andato progressivamente imponendo, non solo nel mondo economico ma a volte anche in quello sanitario. A partire da questi due punti tra loro connessi, proverò a trarre alcune riflessioni conclusive sulla sfida delle risorse alla luce dell’identità cristiana.

Lo scenario socio-culturale della società tecnologica e della cosiddetta post-modernità ci pone di fronte a un radicale cambiamento nella concezione della salute, della malattia e a volte del significato della vita stessa (il tema dell’eutanasia ne costituisce un esempio lampante). L’illusione dell’onnipotenza della medicina scientifica, il mito del corpo patinato e a misura del proprio desiderio, il rifiuto dell’invecchiamento, l’idea della sofferenza come qualcosa da cui liberarsi con fastidio e a qualsiasi costo, sono solo alcuni sintomi di questa trasformazione. Rinchiuso nell’assolutismo dell’ego che è diventato tempio del sé e sua prigione, vittima di un individualismo sempre più esasperato e cupo, l’uomo contemporaneo ha finito per dimenticarsi dell’Altro e degli altri, disgregando i legami fondamentali e rimanendo a poco a poco più triste e più solo. Ciò è vero tanto nella nostra esperienza quotidiana quanto su scala più larga. Proprio la sanità ne fornisce un esempio paradigmatico. Il gesto della cura, infatti, non può ridursi solo al come, ma deve potersi ancorare in un perché, altrimenti non è capace di comunicare senso e speranza né alla persona che vive l’esperienza della malattia né a coloro che sono chiamati ad assisterla. Allo stesso modo, l’organizzazione del sistema sanitario non può inseguire solo l’innovazione tecnologica dei mezzi o un criterio interno di efficienza basato sulla riduzione dei costi, ma deve rimanere ultimamente fondata sul rispetto della vita e della dignità della persona, cercando di garantire equità nell’accesso alle cure e sostenibilità del sistema.

In questa prospettiva, è possibile provare a guardare in maniera nuova alla sanità, considerandola non più soltanto come una prestazione assistenziale da erogare in forza di una obbligazione contrattuale, o dell’utopia di fornire tutto a tutti, né tantomeno come un costo sociale da comprimere per risanare i debiti degli Stati sovrani nell’età definita ormai post-welfaristica. Oltre alla prestazione assistenziale, la sanità rappresenta infatti anche un investimento sulle risorse e sulle potenzialità del corpo sociale, sulla crescita dei legami fondamentali e strutturanti la persona e la società, e pertanto sulla possibilità che la società stessa si sviluppi in maniera più sostenibile. In tal senso, proprio dall’assistenza socio-sanitaria può venire un antidoto alle derive stataliste o liberiste a cui l’economia è costantemente esposta. Nell’enciclica Caritas in Veritate al n. 38 Benedetto XVI scrive:

Nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica. La solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti, quindi non può essere delegata solo allo Stato. Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia. Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. Carità nella verità, in questo caso, significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso.

Una realtà, chiamata ad un nuovo slancio e ad una rinnovata esemplarità in continuità con questi principi, è costituita dalle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana. Già la Nota pastorale Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute, pubblicata dalla Commissione episcopale per il servizio della carità e della salute della CEI nel giugno 2006, ai n. 40 e 41 affermava:

Sono molti gli interrogativi che vengono rivolti a tali istituzioni nel momento storico presente: come essere fedeli al mandato di Gesù e alla grande tradizione dell’hospitalis, nata nella Chiesa quale espressione del suo amore per l’uomo? Come tradurre in termini moderni i carismi delle diverse famiglie religiose, senza rinunciare a qualificarsi come centri tecnologici polispecialistici, come richiesto dal Servizio sanitario nazionale? Come coniugare ricerca scientifica e opzione di fede, efficienza economica e cura etica, puntando a una sanità di eccellenza, autenticamente umana? La risposta a tali domande – continua la Nota – esige che le istituzioni sanitarie cattoliche si qualifichino per le prestazioni mediche e gestionali; si impegnino a rispondere con iniziative concrete alle sfide della bioetica; pongano in risalto il primato dell’ammalato, la cura integrale della persona e la testimonianza della carità come criteri adeguati di intervento; siano scuole di comunione e luoghi dove l’ammalato possa aprirsi alla speranza; sappiano ritagliare spazi per attività solidaristiche in favore di categorie di malati trascurate dal settore pubblico.

Ciò che occorre è dunque la capacità di pensare un nuovo modello, idoneo ad offrire risposte che inquadrino sempre più i temi della salute e della vita nella costruzione del bene comune, nella costante ricerca e nella concreta affermazione dell’autenticamente umano. Di questo, le istituzioni sanitarie cristiane possono e devono divenire esempio e laboratorio.

Dal mandato di Gesù ai discepoli «Euntes… curate infirmos» e dall’icona evangelica del samaritano scaturisce la speciale vicinanza ai sofferenti e la grande tradizione cristiana dell’hospitalis. In questo humus culturale ha origine l’ospedale e successivamente la grande storia degli ordini religiosi ospedalieri nella cura degli infermi. Proprio la sensibilità per l’uomo e per il valore della sua vita e della sua salute ha agito alla stregua del lievito evangelico e nel tempo ha reso il valore dell’assistenza e della cura dei malati elemento caratterizzante e imprescindibile dell’umanesimo cristiano e dell’idea stessa di civiltà. Solo dopo diversi secoli gli Stati hanno cominciato a comprendere e tutelare tale valore e solo in epoca più recente si sono poste le condizioni per la nascita di servizi sanitari a impronta universalistica e di sistemi sanitari nazionali. Questi servizi sono oggi messi a dura prova dalle trasformazioni in atto, che incidono significativamente anche sulle strutture socio-sanitarie ecclesiali. Per tali strutture, le innegabili difficoltà diventano anche occasione per confermare l’ispirazione ideale che le anima, testimoniandola con la carità sia verso le fragilità materiali e immateriali che affliggono la nostra società, sia con una diaconia del pensiero che illumini le scelte in direzione della verità dell’uomo e del bene comune. La prima vera sfida a cui dobbiamo rispondere è perciò quella di crescere nella qualità evangelica delle nostre logiche e delle nostre prassi, senza fermarci solo alla superficie, all’appartenenza storica o all’immagine, ma valutando nello specifico i criteri di ecclesialità delle opere e il loro servizio alla missione della Chiesa. A partire dal Vangelo risulta oggi più che mai necessario sviluppare percorsi spirituali e culturali che consentano di incidere significativamente sul mondo della sanità, tanto complesso e difficile quanto rilevante per la vita della Chiesa e dell’intera società umana.

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